Corriere 12.4.16
Il discorso nell’Aula vuota «Gli assenti? Mi spiace per loro»
di Fabrizio Roncone
ROMA Non è che il premier, in un pomeriggio così speciale, passa alla buvette per caso.
Sa tutto, è chiaro.
È venuto qui per questo.
La
scusa di un bicchiere d’acqua, cronisti in gruppo, situazionismo vario,
battute, risate, ripresa, competitività, politica internazionale,
aneddoti su Giorgio La Pira, scusi le spalle signorina, bella esperienza
a Vinitaly, che ora abbiamo fatto?
Poi, uno di noi della prima fila, con un filo di voce, dice: «Guardi, Presidente, che troverà un’aula vuota…».
Matteo Renzi è prontissimo, quasi non aspettasse altro.
«Perfetto!»,
e gli viene tondo, di cuore, forte (a questo punto Filippo Sensi, il
suo portavoce, inizia a sbracciarsi da dietro con un sorrisone
diplomatico, e poi un «no, scusa, come perfetto?»).
Renzi si sta divertendo.
Finge un colpetto di tosse.
Corregge.
«Ehm... Cioè, no, scusate: siamo addolorati, dispiaciutissimi...». Ma nessuno ha l’aria di credergli. «Oh, e che devo dire?».
Aula
vuota, le opposizioni tutte fuori. I grillini addirittura proprio fuori
da Montecitorio, sulla piazza, davanti a telecamere in batteria e
dietro a uno striscione: «Trivellopoli» (tra un po’ andremo a vedere
bene che succede).
Renzi si volta, calmissimo: «Posso avere un
altro bicchiere d’acqua?». S’abbottona la giacca. «Sto dimagrendo, sul
referendum per l’approvazione di questa riforma costituzionale farò una
campagna elettorale personale, girerò l’Italia, mi gioco tutto, ma ce la
faccio, vedrete».
Una cronista insiste: «Sì, però tra poco
parlerà a un’aula vuota...». E lui: «Mi spiace per chi non ci sarà,
perché parlerò ed entrerò nel merito della riforma... che è pazzesca,
una cosa enorme, la prima autoriforma del Parlamento d’un Paese
occidentale, un fatto strepitoso, dai».
Guarda l’orologio, guarda
il capogruppo del Pd, Ettore Rosato: «Si va?» (ma qui di nuovo Filippo
Sensi, sveltissimo, alza il braccio e gli fa segno di buttare un occhio
lì, all’angolo, «vedi un po’ chi c’è, valli a salutare, no?»).
Gianni Cuperlo e Roberto Speranza.
Opposizione interna dura e pura.
Gufi, per usare una definizione renziana, che non mollano.
Lui
allora chiede permesso, rompe l’accerchiamento e sicuro e disinvolto li
va a salutare: loro se lo ritrovano davanti abbastanza all’improvviso e
sapete come sono Cuperlo e Speranza, cortesi ai limiti della timidezza,
così il boccone quasi gli va di traverso, mentre si stringono
nell’angolo e lui lì — «Posso parlare solo 25 minuti, se no sarei andato
avanti per 4 o 5 ore e vi avrei inchiodati in aula» — affabile e
spiritoso come se niente fosse, come se qualche giorno fa Cuperlo non
gli avesse detto chiaro e tondo che è un capo senza statura e molta
arroganza.
Sono quasi le 18.
I grillini, in sit-in, da quasi un’ora.
Alessandro Di Battista controlla tutti, suggerisce a tutti, serra i ranghi.
Gli
altri leader: Roberto Fico freddino, distaccato; Luigi Di Maio in
ghingheri nel suo completino blu elettrico da Forza Italia dei bei tempi
arriva per ultimo, a passo deciso, si cerca un tigì e lascia agli altri
il megafono.
Di Battista lo ignora e continua a comportarsi da
capo riconosciuto (sempre a caccia di complicità, subito al tu, tu sai
bene, tu capisci, con la barbetta curata, le maniere del politico di
professione e così sembrano davvero passati secoli da quando Il Foglio
lo definì un «simpatico mitomane a cinque stelle»).
Di Battista, siete qui fuori, perché?
«Perché quella riforma è anticostituzionale e...».
La prego: la bassa propaganda, no.
«Mhmm...
Okay. La verità è che con l’Italicum, legge pessima, a oggi nessuno
prenderebbe il premio di maggioranza e si andrebbe perciò a un
ballottaggio dove noi, lo sai pure tu, sondaggi alla mano, non dico che
vinceremmo sicuri, ma certo saremmo pronti a giocarcela».
Vi sentite i veri competitor di Renzi.
«Sì,
assolutamente... E comunque fammi dire: questo governo vara una riforma
costituzionale da solo e ignorando il voto di sfiducia per
quell’emendamento-marchetta alla Total... Anzi, ti faccio una domanda:
sai perché gliel’abbiamo piazzato al Senato, il voto di sfiducia?».
Posso immaginarlo, ma lo dica lei.
«Perché per farcela a restare in piedi, Renzi e i suoi compari dovranno ancora una volta chiedere i voti a Verdini».
Nemmeno a girare la battuta al premier. Che è già al suo posto, nell’emiciclo.
Colpo d’occhio: tutti i ministri schierati, a parte Maria Elena Boschi (a Londra) e Angelino Alfano.
Renzi sorseggia un bicchiere di succo d’arancia.
Controlla gli appunti.
Sguardo carico.
Intanto
Renato Brunetta, il capogruppo di FI, ha preso la parola: «Anche noi
lasceremo l’aula!» (noi: cioè lui, Anna Grazia Calabria e Simone
Baldelli, perché gli altri del suo gruppo neppure sono venuti. Come dice
Vittorio Gassman in «Brancaleone alle Crociate»: «Gente mia, dove ne
siete?»).
Adesso l’aula è deserta, deputati solo nei banchi del Pd.
Matteo Renzi si alza e, parlando a braccio, inizia il suo discorso.