Il Fatto 4.4.16
Trivelle
Referendum: fatto il voto, trovato l’inganno
di Antonello Caporale
Tutto
torna. Scegliere il 17 aprile come data del referendum, rifiutando di
abbinarlo alle amministrative di giugno, costa trecento milioni di euro
agli italiani ma è un grandissimo affare per le compagnie petrolifere e
anche – alla luce di quanto si sta scoprendo in Basilicata – per Matteo
Renzi. Sterilizzare il quesito referendario, boicottandone la
partecipazione, è non solo l’unico saldo utile ma l’unico possibile per
il premier. Al di là del quesito, che investe un tema limitato circa i
modi e i tempi di utilizzo delle perforazioni petrolifere in mare, la
vittoria del Sì – possibilità assai più concreta se il voto fosse
stato a giugno – scardinerebbe l’ideologia governativa. Fare, a
prescindere dal come e persino da cosa. Fare opere, dare lavoro,
promuovere il Pil escludendo di valutare i rischi delle opere, l’impatto
numerico dei posti di lavoro, il costo sociale, ambientale e sanitario
di quella iniziativa. Il petrolio è una ricchezza a volte incompatibile
con l’ambiente, a volte sostenibile ma soltanto a costo di onerosi
interventi di tutela delle azioni di scavo e di protezione degli scarti
industriali. In Basilicata il petrolio è invece divenuto il sol
dell’avvenire, proiezione necessaria della modernità, ricchezza in sé,
indefinita nei vincoli della sua relazione col territorio, anzi perfino
platealmente contrapposta ad esso. Sotto lo scudo del lavoro da
promuovere Renzi ha accolto tutte le richieste delle multinazionali:
dalla legislazione di tipo emergenziale che bypassa o minimizza ogni
rischio ambientale, alla massimizzazione delle attività industriali. Il
65 per cento del territorio della Basilicata è oramai reso disponibile
alle necessità del trust (Eni-Total-Shell). Domanda: se è chiaro in
quali tasche vanno i soldi, tutto il veleno dei reflui petroliferi nella
pancia di chi finisce?