Corriere La Lettura 3.4.16
L’homo sapiens è mobile...
Con
l’espressione «inquietudine migratoria» si descrive in etologia
l’aumento di attività motoria nei periodi delle migrazioni che si
riscontra in individui, appartenenti a specie migratorie di uccelli,
costretti in cattività. Depurandola da ogni accento istintuale, Guido
Chelazzi utilizza questa metafora per parlare della mobilità dell’ Homo
sapiens nel saggio Inquietudine migratoria (Carocci, pp. 240, e 16).
Unendo prospettive antropologiche (biologiche e culturali), ecologiche,
genetiche, climatologiche, Chelazzi tenta (con successo) un’anatomia
scientifica dell’irrequietezza — per fare il verso a Bruce Chatwin. Le
migrazioni contemporanee sono fenomeni nuovi? La migrazione primitiva fu
un fatto naturale di contro al carattere culturale di quelle più
recenti? Perché molti popoli collocano in un «esodo» le fondamenta della
propria identità? Le idee hanno sempre viaggiato con i piedi degli
uomini o si sono mosse autonomamente? Per rispondere occorre
scandagliare un insieme di discipline. Siamo «scimmie colonizzatrici» e
«opportunisti spaziali», sostiene Chelazzi. Migriamo, certo, anche per
fuggire alle guerre e alle persecuzioni e spinti dalla fame. Ridurre la
mobilità umana alla migrazione economica, tuttavia, è una prospettiva
semplicistica, adatta forse ai nostri tempi, ma non a un’umanità
osservata a volo d’uccello, risalendo fin alle origini. Un libro che
ogni viandante dovrebbe tenere nello zaino (il formato è adatto al
viaggio), accanto alle Vie dei canti .