Corriere La Lettura 17.4.16
Il romanzo della scienza
La ricerca è un’impresa infinita, la natura un libro avvincente Così trasmettere la conoscenza diventa un’opera letteraria
Già
i testi di Galileo e di Darwin avevano un taglio narrativo. Oggi il
pubblico è affascinato dal racconto di una sfida all’ignoto ricca di
svolte sorprendenti che produce sempre nuovi punti interrogativi
È improprio raffigurare l’evoluzione della vita come un processo lineare deterministico. Poteva andare diversamente
di Telmo Pievani
Nell’era
degli specialismi, è essenziale tornare a capirsi. Per gli scienziati
la comunicazione sta per diventare un obbligo istituzionale. I maggiori
erogatori di finanziamenti internazionali chiedono ormai sempre che i
proponenti di una ricerca dichiarino in anticipo quali saranno le loro
strategie di comunicazione dei risultati, tecnicamente e poeticamente
definita «disseminazione». L’Agenzia nazionale di valutazione della
ricerca italiana (Anvur) ha da poco inserito in via sperimentale la
«terza missione», cioè le attività di valorizzazione della ricerca e di
produzione di beni pubblici sociali e culturali, come parametro di
valutazione delle università e degli enti di ricerca. Bisogna insomma
imparare a raccontare e a condividere i risultati della propria ricerca,
che deve essere trasparente e contribuire all’alfabetizzazione
scientifica della popolazione.
Secondo l’evoluzionista Stephen J.
Gould, autore di 300 brillanti «storie naturali», per comunicare la
scienza ci vogliono tanto rigore e tanta fatica quanti ne servono per
fare ricerca scientifica avanzata. Vero, ma come riuscirci? I
ricercatori non sono per forza comunicatori nati e i mediatori non hanno
sempre la preparazione adeguata. Inoltre le modalità per raccontare la
scienza oggi stanno cambiando profondamente. Non regge più l’idea che
chi sa debba soltanto trasmettere il proprio sapere, in versione
semplificata, a chi non sa, impersonato di volta in volta dalla suocera o
da un’imprecisata casalinga. Il termine «divulgazione» risente di
questa concezione un po’ paternalistica della comunicazione scientifica,
come se una conoscenza riservata a pochi venisse tradotta e
sintetizzata per il volgo. Nei Paesi che amano gli slogan diretti si
parla oggi di public engagement with science , come a dire che la
scienza deve essere coinvolgente e inclusiva. Va cioè comunicata
attraverso la partecipazione a un’esperienza attiva, mettendoci dentro
le mani e la testa.
I risultati di questa apertura democratica del
sapere scientifico sono notevoli, anche in Italia, dove la domanda di
dialogo con la scienza sta crescendo. Lo provano le masse di visitatori
che affollano ogni anno i festival scientifici, a Bergamo, Genova,
Napoli, Perugia. Le mostre dedicate a storie di scienza e di scienziati
negli ultimi anni hanno fatto numeri comparabili alle grandi mostre
d’arte. I musei scientifici, i science center e gli orti botanici
italiani, per quanto sotto-finanziati, custodiscono tesori molto amati
dal pubblico, che accorre alle iniziative organizzate in quelle sedi.
Anche la saggistica scientifica su carta e in rete, ancorché seguita da
una platea ristretta di lettori forti che si allarga lentamente, è
sempre più ricca, finalmente con autori italiani di successo che
esportiamo all’estero.
Dunque il pubblico (ma in realtà sono tanti
pubblici diversi) c’è, sta cambiando ed è affamato di scienza. Per
tutta risposta, le comunità scientifiche sono sempre più prodighe di
narrazioni e di immagini. Oggi il romanzo della scienza si alimenta di
esploratori, fotografi naturalisti, cacciatori di particelle elementari e
di fossili, inventori di materiali che si pensavano impossibili,
biologi che sintetizzano genomi e li impiantano nelle cellule. Si
alimenta anche di video e nuovi prodotti multimediali in rete, di
fantascienza che anticipa la scienza, di taccuini segreti e di
autobiografie ufficiali scritte con il senno di poi, di faccende molto
umane tra i banconi del laboratorio, di intrighi geopolitici, di
racconti di scoperte (il pioniere incompreso, gli eterni secondi che
nessuno ricorda più) e di romanticheggianti biografie di beautiful minds
al lavoro (su tutti, recentemente, Alan Turing e Stephen Hawking). E
poi ancora di contaminazioni fra la scienza e il teatro, la letteratura,
il cinema, le arti. I paradossi della meccanica quantistica — dai
gattini diversamente vivi di Erwin Schrödinger agli universi paralleli —
non cessano di generare interpretazioni letterarie. Oscillando tra
paure e speranze, il romanzo della scienza del XXI secolo riempie sempre
più il serbatoio dell’immaginario collettivo delle società.
Le
esperienze di successo dimostrano che il segreto di un’efficace
comunicazione della scienza sta nel raccontare non soltanto i prodotti
della ricerca (teoremi, formule alla lavagna, nozioni, leggi), ma anche i
processi che hanno condotto a quelle idee, i percorsi tortuosi della
scoperta scientifica attraverso errori, avanzamenti, controversie,
ipotesi in lotta, approssimazioni rivedibili. Si illustrano così in un
colpo solo sia i contenuti sia il metodo auto-correttivo della scienza,
fondato sul dubbio e sulla critica costruttiva, mostrando la scienza per
quello che è: un’impresa umana fatta di tenacia e pazienza, di vicoli
ciechi e di accelerazioni improvvise, di congetture e confutazioni, non
un catalogo di teorie morte.
In tal modo possiamo anche
condividere con il pubblico quella caratteristica elusiva e affascinante
della scienza per cui tanto più spieghiamo nuovi fenomeni, tanto più ci
accorgiamo di non comprenderne molti altri. In questa perenne sfida
all’ignoto, sappiamo sempre di più eppure i punti di domanda si
rigenerano. Fino a ieri non immaginavamo neppure che gran parte
dell’universo fosse composto di materia ed energia oscure, né che alcune
decine di migliaia di anni fa sulla Terra abitassero quattro specie
umane. Non sapevamo di non sapere, ingrediente di suspense per ogni
storia che si rispetti.
La scienza poi non è soltanto la
fornitrice di contenuti per le narrazioni contemporanee di scrittori,
artisti e autori di serie televisive. È essa stessa impregnata di
storie. La scienza moderna inizia con un dialogo immaginario, con i
personaggi inventati da Galileo per incarnare e argomentare posizioni
filosofiche e scientifiche contrapposte, cioè con la messa in scena
teatrale di quel libero e pubblico confronto delle idee da cui
scaturisce la scoperta scientifica. La natura stessa, per Galileo, è un
libro scritto in caratteri geometrici e matematici, libro da leggere e
da condividere. Analoga metafora testuale oggi caratterizza il grande
racconto del Dna: alfabeto della vita, messaggio in codice, per il
genetista Francis Collins addirittura «linguaggio di Dio» inscritto
nelle molecole.
Come notava lo scrittore russo Osip Mandel’stam
nel 1932, lo stile letterario di Charles Darwin, la sua amabile
«conversazione scientifica» da gentiluomo vittoriano che accompagna gli
ospiti nel suo giardino, è inseparabile dai contenuti scientifici dell’
Origine delle specie , che non è né saggio specialistico né opera
divulgativa, bensì la narrazione di un lungo ragionamento «fervente di
vita e di fatti», fulcro di una campagna culturale di persuasione
pubblica a favore della scomoda idea di un’evoluzione per selezione
naturale priva di scopi.
Proprio l’evoluzione della vita, e oggi
dell’universo, rappresenta di per sé un romanzo d’avventura, non
necessariamente a lieto fine, con i suoi eroi dimenticati e le sue
biforcazioni. E anche con le sue trappole narrative: compiacersi del
racconto dell’evoluzione intesa come un progresso lineare dal semplice
al complesso può diventare un’illusione consolatoria. Il suo antidoto
sta nella scoperta scientifica della contingenza della storia della
vita, che è andata così ma poteva andare diversamente, a sua volta altro
classico schema di infinite storie.
La storia della scienza
stessa è una forma di evoluzione culturale, una grande impresa
collettiva per Spiegare il mondo , come sintetizza il Nobel Steven
Weinberg nel titolo del suo ultimo libro sulla storia della fisica
(Mondadori). Talvolta zigzagando, ma procede, in dialogo con la società e
gli altri saperi. Italo Calvino, che nel 1968 aveva scandalizzato
alcuni critici letterari sostenendo che il più grande scrittore italiano
in prosa di tutti i tempi era Galileo, trovava nel discorso scientifico
una sfida di rigore per il discorso letterario, e al contempo un motivo
di leggerezza, la rarefatta consistenza della precisione: «Oggi ogni
ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su
entità sottilissime: come i messaggi del Dna, gli impulsi dei neuroni, i
quark, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi».