Corriere La Lettura 17.4.16
Il sinti prende a pugni il nazista. E noi con lui
Nel
2003 la federazione della boxe tedesca ha restituito alla famiglia del
pugile sinti Johann «Rukeli» Trollmann, ucciso in un lager nel 1943, il
titolo dei mediomassimi che i nazisti gli avevano ingiustamente tolto.
Da allora il suo nome ha ripreso a circolare, grazie all’opera di
scrittori e documentaristi affascinati dall’enorme potenziale narrativo e
simbolico della vita di Trollmann. Che il Nobel Dario Fo (con Razza di
zingaro , Chiarelettere) e l’esordiente Mauro Garofalo, con Alla fine di
ogni cosa , abbiano avuto indipendentemente e quasi nello stesso
momento l’idea di scrivere un racconto su di lui non è solo una
coincidenza ma anche il segno di un interesse ampiamente condiviso che
converge sulla figura di Rukeli.
Trollmann, nato in un campo sinti
nella zona di Hannover, era arrivato con una folgorante carriera a
vincere nel 1933 il titolo dei mediomassimi, poi revocatogli dalla
federazione tedesca che non tollerava la sua boxe divertita e danzante,
troppo lontana dall’ideale «maschio» e ariano del Deutscher Faustkampf ,
il nuovo stile di combattimento che piacendo a Hitler doveva piacere a
tutti. Costretto alla sconfitta, Rukeli, ex idolo del pubblico, percorre
a ritroso la strada del successo, accetta — per sopravvivere —
combattimenti di livello sempre più basso, fino ad abbandonare i
guantoni per darsi letteralmente alla macchia nel tentativo di evitare
le persecuzioni razziali.
Con la guerra è prima arruolato nella
Wehrmacht, quindi internato nel lager di Neuengamme. Lì, come Primo
Levi, come milioni di altri detenuti, Rukeli scopre il grado infimo
della condizione umana. Ma per lui non bastò: riconosciuto come ex
campione, fu costretto dalle SS e dai kapò a «sfide» avvilenti,
impossibili. Ne vinse una, con uno scatto d’orgoglio, umiliando un kapò
sanguinario che si vendicò uccidendolo.
La storia esaltante e
annichilente di Trollmann pone, a chi come Garofalo voglia darne una
rappresentazione a metà tra romanzo e non fiction novel , problemi di
misura e di tono. Garofalo ha trovato un piccolo spazio, vicinissimo al
dramma di Rukeli, per la voce bassa e intima del narratore, che si
conquista la fiducia del lettore con metafore misurate e frasi
brevissime ed ellittiche che diventano puro ritmo. È un tempo interiore
del narrare, capace di adattarsi alle tre dimensioni temporali su cui si
fonda il libro: il tempo atletico e spirituale dell’allenamento e del
combattimento; il tempo esistenziale di Trollmann, coi suoi sogni e
affetti; il tempo della Storia.
Dal 1929 al 1933, l’ascesa del
pugile sinti va di pari passo, e sembra quasi concorrenziale, con quella
del partito nazionalsocialista: grazie al suo talento Rukeli realizza
un sogno e diventa mito collettivo. Dal ’33 in poi, con la vittoria del
titolo subito revocato, il processo si inverte: il nazismo dilaga,
l’incubo diventa realtà, la stupenda forza di Trollmann deve conoscere
l’incredulità e l’impotenza, l’amara consapevolezza di non poter
contrastare il destino e la Storia. La luce della sua stella si spegne
nel fango ma non per sempre se un bel racconto la fa ancora brillare.