sabato 9 aprile 2016

Corriere 9.4.16
La stanza segreta dei pennini
Montblanc compie 110 anni e apre le porte del suo quartier generale di Amburgo, posto accanto al museo che racconta la penna stilografica. E, insieme, un pezzo del Novecento
di Luisa Pronzato

Un 8 che scorre e scorre nel silenzio. E spinge, e prova, ogni rotazione della scrittura. All’accenno di un suono, brusio, Gisele scarta il pennino. È nella stanza insonorizzata del quartier generale di Amburgo che si concentra la micro-ingegneria Montblanc. Il gesto d’infinito è il giudizio implacabile. Misura la perfezione. Dal calibro della barra d’oro in cui vengono tagliate le sagome, due per dare lo spessore che dialoga con l’alimentatore, all’incisione che rende riconoscibile ogni collezione e al nib, la goccia a cuore che suggella la punta, servono cento passaggi tra le mani degli artigiani perché un pennino sia degno della sua storia.
«La funzionalità è la pietra angolare di un oggetto — dice Jérôme Lambert, chief executive di Montblanc, uomo di business e anche maratoneta e filosofo —. Gli strumenti da scrittura appartengono a un sistema a tre punte: la stilografica, la carta e l’inchiostro. Al centro c’è il piacere». Lambert intende il piacere di scrivere, ma anche quello estetico, l’«aspirazione» alla bellezza che nel Dna della maison tedesca è strettamente correlato all’utopia del progresso d’inizio Novecento. È nel decennio della fiducia tecnologica di cui siamo figli che un imprenditore di Amburgo, Alfred Nehemias, un ingegnere, August Eberstein, e un agente di commercio, Claus Johannes Voß, decisero di investire sulla rivoluzionaria invenzione della stilografica con serbatoio di inchiostro incorporato. Era 110 anni fa. «Per un’azienda significa essere stata parte della storia, essere nelle relazioni della storia, aver partecipato alla costruzione della cultura — dice Lambert —. I fondatori partirono con spirito pionieristico rispetto all’impresa, c’era la volontà di iscriversi nell’idea di progresso e sviluppo che in quell’epoca significava anche una dimensione artistica e creativa».
Il logo con la stella a sei punte, sintesi delle vette del Monte Bianco, le strategie commerciali di Grete Gross, disegnatrice aderente della Bauhaus, che affidava il marchio al volo di aerei o ad auto dotate di una gigantesca penna sul tetto, sono state le chiavi del messaggio innovativo del marchio nascente. «Sono ancora i motori della mission e della strategia aziendale: una relazione costante con l’arte, l’ambizione di liberare la creatività delle nostre équipe, produrre qualcosa destinato a durare: e questo è il lusso o quella luce, come in un quadro di Caravaggio, che ci stupisce ed emoziona ogni volta».
Montblanc è nata per il lusso. La vita al bureau, antesignana del business style, i viaggi in transatlantico della gente d’affari, erano i lifestyle di rifermento. Un mondo aperto all’avanguardia delle idee, di cui i consumi sono status rigoroso. Anche rispetto alle costruzioni sociali. Le donne, per esempio, che entravano in quei mondi e per le quali vennero ideate forme e dimensioni di stilografiche. Il marketing di Montblanc, quando ancora non si chiamava così, parlava di futuro. Lo raccontano le stilo, gli astucci, e le pubblicità raccolti nel museo riaperto e rinnovato da pochi mesi al lato dell’ingresso del quartier generale fatto di zone semi industriali, laboratori artigianali, studi artistici e di design, accademia di formazione per i dipendenti e una scuola professionale che diploma quaranta specializzati ogni quattro anni.
«Fabbricanti di stilografiche d’oro d’alta qualità», la storia di Montblanc inizia con una dichiarazione di fiducia nelle proprie capacità. E le strategie commerciali e del marchio sono nelle bacheche. Le Limited Edition, pochi esemplari creati completamente a mano ispirati dalle atmosfere culturali, da Picasso a Verne a Virginia Woolf, da Andy Warhol a Kennedy ad Alfred Hitchcock, a Gandhi, a Leonardo. Non sono solo i preziosi, diamanti, zaffiri e rubini, incastonati dai maestri orefici a farne oggetti da collezione e da aste. Ma gli intagli, le fresature su pennino, cappuccio, corpo: ognuna con il racconto di una storia. Quelle storie vivono nel museo accanto ai pezzi storici le prime Rouge e Noir, le Meisterstück che hanno cambiato materiali, forma, tecnologia del caricamento diventando icona del marchio, e simbolo di accordi mondiali, quasi che firmare con una Meisterstück149 dia, e prenda, la stessa forza simbolica di un trattato storico.
Nella reception, nei corridoi tra le isole di produzione, nei laboratori, si sviluppa una galleria d’arte contemporanea, nata negli ultimi 15 anni in collaborazione con la Kunsthalle, il museo di Amburgo, 180 opere di artisti all’avanguardia, anche se non noti, nel momento in cui i quadri vengono commissionati come Thomas Demand, Liam Gillick, Jonathan Meese, Sylvie Fleury, Jorge Pardo, Ugo Rondinone, Michel Majerus, Fang Liju, che nel frattempo sono cresciuti di fama. È un viaggio lungo 110 anni quello in Montblanc che può sintetizzarsi in due degli ultimi modelli. La Montblanc M creata da Marc Newson, il designer delle ultime tendenze industriali, a cui è stato riconosciuto il Red Dot Award 2016 per il « Best of the Best » del design. E la serie Rouge e Noir con cui la maison celebra i 110 anni. In lacca, rossa e nera come la prima. Una tensione al futuro e un affondo nel patrimonio storico.