Corriere 9.4.16
L’amore forte che non giudica
L’amore di cui parla Francesco non ci chiede di essere diversi e non ci giudica. Ci accoglie e riconosce
di Michela Marzano
L
e leggi morali non sono pietre che si possono lanciare contro la vita
delle persone, scrive papa Francesco nell’esortazione apostolica
post-sinodale Amoris Laetitia . Invitando la Chiesa ad avere «una cura
speciale per comprendere, consolare e integrare chiunque», e a evitare
tutti quei giudizi di valore che non tengano conto dell’estrema
complessità dell’esistenza umana. La carità vera infatti, scrive sempre
il Papa, è «immeritata», «incondizionata» e «gratuita».
Una
novità? Forse no. Visto che era stato proprio papa Francesco, a
proposito delle persone omosessuali, a chiedersi chi fosse lui per
giudicarle. E che, nel volume Il nome di Dio è misericordia , aveva
ricordato come l’unica verità — quella con la «v» maiuscola che in tanti
invocano ogniqualvolta si tratti di scagliarsi contro coloro che non
corrispondono al «bene» o al «giusto» — fosse proprio la misericordia
divina. Eppure è proprio di novità che si deve parlare leggendo l’
Amoris Laetitia . A cominciare proprio da quest’esortazione a non
lanciare pietre e ad essere umili. A valutare caso per caso le
situazioni «irregolari» perché il «grado di responsabilità non è uguale
in tutti i casi». A riscoprire la dimensione erotica dell’amore e a non
immaginare che la sessualità debba sempre e comunque essere finalizzata
alla procreazione visto che anche il sesso è un «meraviglioso dono di
Dio».
Certo, ancora una volta viene ribadito che solo l’unione
esclusiva tra un uomo e una donna svolge una funzione sociale piena
rendendo possibile la fecondità: «La coppia che ama e genera vita è una
scultura vivente», scrive Bergoglio. Ma poi, parlando della fecondità,
papa Francesco spiega anche che questa fecondità non si esaurisce nella
procreazione o nell’adozione, e che ci sono modi diversi di vivere la
fecondità dell’amore. «La maternità non è una realtà esclusivamente
biologica», scrive il Pontefice, e la forza di una famiglia risiede
essenzialmente nella sua «capacità di amare e di insegnare l’amore».
Ma
di quale amore, appunto, ci parla papa Francesco? Di un idillio o di un
dovere? Di una realtà naturale o di uno sforzo? Di un destino o di una
fatalità? In realtà, la «gioia dell’amore» su cui si sofferma il Papa
sembra un amore che non ci chiede di essere diversi da quello che siamo e
che non ci giudica, che attraversa le pieghe delle fratture e delle
contraddizioni che ci portiamo dentro e che non ci costringe a cambiare o
a fare sforzi per meritare cura e attenzioni. Sembra essere un amore
che accoglie e che riconosce. Ma per accogliere e riconoscere non si
dovrebbe poi anche mettere da parte ogni giudizio di valore e ogni
dogmatismo?
Certo, l’amore di cui ci parla il Papa si realizza
prima di tutto tra l’uomo e la donna che, amandosi, diventano una sola
carne. Ma quando Bergoglio chiede autocritica per le rigidità del
passato, non sta suggerendo anche che quest’amore deve poter rispettare
l’alterità, riconoscendo l’esistenza di un’autonomia individuale e di
una necessaria e salutare distanza all’interno della coppia? Certo, è un
amore fecondo. Ma la fecondità non è anche, e forse prima di tutto,
simbolica? Esattamente come la sessualità, che è un modo di prendersi
cura dell’altro e di dialogare, sapendo che nessun dialogo è possibile
se non si aprono in sé spazi vuoti capaci di accogliere l’alterità
altrui. L’amore di papa Francesco è un amore che si realizza pienamente
nel progetto matrimoniale di un uomo e di una donna. Ma nell’invito a
non giudicare e a non scagliare norme — «Non mi riferisco solo ai
divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque
situazione si trovino» — non emerge in fondo la possibilità per tutti e
tutte, anche indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, di
vedere riconosciuto il proprio amore? Coppie di fatto e coppie
omosessuali, quindi. Che il Pontefice non equipara mai al matrimonio,
anzi — forse non può, forse è chiedere troppo. Ma la cui dignità non
sembra mai essere negata, soprattutto quando il Papa ci invita a
crescere nell’amore inteso come reciproco aiuto, senza «un accento quasi
esclusivo sul dovere di procreazione». Conosciamo il prologo del
Vangelo di san Giovanni, in cui l’evangelista non solo scrive che in
principio era il Verbo e che il Verbo era Dio, ma anche che il Verbo si è
fatto carne e che è venuto ad abitare in mezzo a noi. Se è vero come è
vero che l’amore è carità e che la carità non giudica, è paziente,
riconosce e accudisce, allora l’ Amoris Laetitia non è anche, e forse
soprattutto, un amore che diventa verbo e che, non facendo più
distinzione tra le persone in base alla propria appartenenza («in
qualunque situazione si trovino»), spalanca la porta a una misericordia
immeritata, incondizionata e gratuita per tutti e tutte? Perché ci
dovrebbe essere d’altronde chi la merita e chi non la merita in base a
caratteristiche, come l’identità o l’orientamento sessuale, che di fatto
non si scelgono? Perché dovrebbe essere «condizionata» e, poi,
condizionata a cosa? A figli che arrivano «naturalmente» talvolta senza
averli nemmeno desiderati? A un matrimonio che talvolta si sfascia senza
che nessuno lo avrebbe mai potuto immaginare?
Ci sono cose che
papa Francesco dice chiaramente, altre che vengono solo suggerite, altre
ancora che forse, in tanti, abbiamo sperato di trovare e che invece
sono assenti. Ma in fondo la porta è aperta, e va bene così. Visto che,
come ricorda il Pontefice, nella Chiesa è necessaria un’unità di
dottrina e di prassi. «Ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di
interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da
essa derivano».