Corriere 8.4.16
Le due cordate dei renziani
E le sfere di influenza nate dentro al governo
di Tommaso Labate
ROMA
«Difficile parlare di guerra, soprattutto quando c’è un premier come
Renzi che controlla tutto. Ma c’è stato anche qua un tempo in cui si
rischiava la paralisi. Quel tempo pareva finito il 2 aprile dell’anno
scorso…». Quando dice «qua», il ministro — che parla come se fosse
nell’ombra — si riferisce a Palazzo Chigi. E a quella «paralisi», figlia
delle continue liti tra i due super-sottosegretari Luca Lotti e
Graziano Delrio, che Matteo Renzi si lascia alle spalle spedendo il
secondo, proprio il 2 aprile del 2015, a fare il ministro delle
Infrastrutture. Lontano dalla stanza dei bottoni ma non al riparo, come
dimostrano le carte dell’inchiesta di Potenza, da quell’attività di
dossieraggio che la cricca del petrolio aveva concentrato su di lui.
Sembra
un evento da poco, quello del 2 aprile 2015. Un po’ perché Delrio non
ha il physique du rôle della «prima fila», un po’ perché la tornata di
Regionali derubrica l’assetto del governo a questione di secondo piano.
Eppure quel cambio di casella, nella geopolitica renziana, segna un
punto di non ritorno. Perché stacca Delrio — e con lui un pezzo di
sottogoverno (Angelo Rughetti) e di gruppo parlamentare (Matteo
Righetti) — dal giglio magico renziano avvicinandoli, in un dialogo che
solo ufficialmente non è mai decollato, alla minoranza del Pd. E
soprattutto perché delinea, questa volta con nettezza, due «tendenze»
diverse tra i renziani della prima cerchia. La «tendenza Lotti», nel
senso del sottosegretario Luca. E la «tendenza Boschi», nel senso,
ovviamente, della ministra Maria Elena. Con Delrio fuori dalla tolda di
comando, Lotti e Boschi consolidano le rispettive sfere di influenza. Il
primo si conferma uomo delle nomine, la seconda si occupa
dell’indirizzo politico. Il primo presidia il governo, la seconda il
Parlamento. Il primo si concentra sui rapporti col Mezzogiorno, la
seconda guarda soprattutto al Nord.
Dal gioco delle sfere di
influenza, tolti gli uomini di governo che hanno un altro partito
(Alfano) o una loro corrente nel Pd (Orlando e Martina), riescono a star
fuori in pochissimi. Sono quelli che, per un motivo o per un altro,
hanno un rapporto diretto con Renzi. Come Pier Carlo Padoan, Paolo
Gentiloni e Marco Minniti. Gli altri? Sono stabilmente a contatto con
Lotti, tanto per fare qualche esempio, il sottosegretario a Palazzo
Chigi Claudio De Vincenti, quello all’Istruzione Davide Faraone, la
viceministra dello Sviluppo economico Teresa Bellanova e, al partito, il
responsabile Giustizia David Ermini.
Nella cerchia ristretta
della Boschi, invece, figurano i nomi del suo vice al ministero Ivan
Scalfarotto, del neosottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, del
tesoriere del Pd Francesco Bonifazi. Senza dimenticare Anna Finocchiaro
al Senato e, alla Camera, quella minipattuglia di giovani parlamentari
del Centronord capitanata da Marco Donati e Marco Di Maio.
Strano
ma vero, nello schema delle sfere di influenza finiscono anche esponenti
di partiti alleati, come Ncd. Se l’alfaniano calabrese Antonio Gentile
(di nuovo allo Sviluppo economico) parla solo con Lotti, l’altrettanto
alfaniana Federica Chiavaroli (sottosegretario alla Giustizia) ha un
esclusivo canale con la Boschi. Come fossero due affluenti dello stesso,
grande, fiume renziano. Dotati di argini che hanno sempre retto. Finora
.