Corriere 8.4.16
«Veleno da un comitato d’affari»
Lo sfogo (e l’esposto) del ministro
di Sergio Rizzo
«Deve essere chiaro se c’è un pezzo dello Stato che lavora contro altri pezzi dello Stato»
C’è
un fatto, per Graziano Delrio, «che la dice lunga». La dice lunga la
provenienza del veleno che ieri lo ha investito: «Viene da un comitato
d’affari». Ed è questo che ha fatto decidere al ministro delle
Infrastrutture una reazione immediata: «Presenterò un esposto alla
Procura su questo presunto dossier di cui si parla». Perché dev’essere
chiaro «se c’è un pezzo dello Stato che lavora contro altri pezzi dello
Stato». Quella vecchia storia della sua visita a Cutro, in Calabria,
insieme ad altri sindaci. La vicenda della processione, a cui non
avrebbe mai partecipato. L’indagine nella quale venne ascoltato come
persona informata dei fatti, e mai indagato. E le foto… Un castello
costruito «sul nulla», impreziosito da alcune «bufale», come quella che
lui avrebbe ceduto alle pressioni su alcune nomine, quando si sarebbe
semplicemente limitato a prorogare alcuni commissariamenti già in atto.
Ma questa impalcatura è stata tirata su per qualche ragione precisa.
Di
sicuro Delrio non è un personaggio comodo. Non lo è nemmeno per lo
stesso premier Matteo Renzi, se è vero che la sua indipendenza non è ben
digerita proprio da tutti quelli del suo giro di fedelissimi. E che il
ministro delle Infrastrutture non possa essere considerato dalle lobby
un soggetto vocato alla difesa dei loro interessi, magari a differenza
di qualche suo collega di governo, è nella storia del suo primo anno
ministeriale. Ma forse anche in quella dei mesi precedenti. Lui stesso,
nelle conversazioni private, rintraccia in parte l’origine della sua
cattiva reputazione presso i «comitati d’affari» in una scelta del
governo attuale da lui fortemente voluta quando era sottosegretario alla
presidenza: la nomina del giudice antimafia Nicola Gratteri alla
presidenza della commissione di Palazzo Chigi per il contrasto alla
criminalità organizzata. «Un magistrato formidabile, con un altissimo
senso delle istituzioni», lo definisce oggi Delrio.
Ma non c’è
solo il caso Gratteri. Basterebbe ricordare il ruolo che avrebbe avuto
l’ex sindaco di Reggio Emilia nei commissariamenti del Mose e dell’Expo.
E tutti gli altri calli che ha pestato da quando è ministro delle
Infrastrutture.
Il sistema tracciato dall’ex immarcescibile
consulente del dicastero Ercole Incalza, già capo delle grandi opere, è
stato demolito. Il nuovo presidente dell’Anas Gianni Vittorio Armani ha
deciso di rivoltare l’azienda come un calzino. Il colossale risarcimento
da 1,8 miliardi di euro di soldi pubblici che un curioso arbitrato
aveva garantito a Edoardo Longarini, costruttore anconetano condannato
una ventina d’anni fa per truffa ai danni dello Stato (sanzione poi
sfumata grazie all’immancabile prescrizione), si è poi miracolosamente
arenato.
La Ferrovie Sud Est, azienda pubblica soffocata da una
gestione sconsiderata mai contrastata da alcun ministro nonostante più
di 300 miliardi di debiti insieme a treni pagati un occhio della testa
mai utilizzati, è stata finalmente commissariata.
Per non parlare
dei mal di pancia di alcuni concessionari autostradali che hanno
scoperto di avere al ministero interlocutori meno arrendevoli che in
passato. O degli attriti generati dalle norme del codice degli appalti
che trasferiscono competenze all’Anticorruzione di Raffaele Cantone.
Insomma, a Delrio un paio d’anni al governo sono stati sufficienti per
non farsi troppi amici in quei famosi «comitati d’affari». E questo
spiega molte cose.Decisamente.