venerdì 8 aprile 2016

Corriere 8.4.16
Condanne anche per corruzione sul caso degli elicotteri in India
L’appello ribalta l’assoluzione per gli ex vertici Finmeccanica. I legali: «Sentenza nulla»
di Luigi Ferrarella

MILANO «Io comunque già da mesi tutta la documentazione dove c’è il nome AgustaWestland è sparita dall’ufficio... Al limite bisogna far sparire anche quelli in cassaforte» sulla fornitura all’India di 12 elicotteri prodotti dalla società controllata da Finmeccanica, diceva il 3 marzo 2012 il mediatore Ralph Guido Haschke in auto tra Malpensa a Lugano, e Carlo Gerosa (suo partner in una società tunisina) concordava «meglio un armadio in casa che una cassetta di sicurezza», subito rassicurato da Haschke: «Sì, io ho dato tutto a mia mamma». E in effetti sotto il letto della mamma, mentre si fingeva malato, il 23 aprile i carabinieri del Ros avevano trovato una valigia di documenti. Da far sparire. Perché?
La risposta ieri della Corte d’Appello di Milano è la condanna a 4 anni e mezzo dell’ex amministratore delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e a 4 anni di Bruno Spagnolini, ex a.d. di Agusta, non solo (come già nel 2014 nel Tribunale di Busto Arsizio a 2 anni) per «frode fiscale» nella sovrafatturazione di 14 milioni con la società tunisina Ids nel 2008-2011, ma anche per il reato di «corruzione internazionale»: la tangente da 30 milioni che i pg Gianluigi Fontana e Tiziano Masini, sulla scia dell’indagine del pm Eugenio Fusco, sostenevano mascherata da fittizi contratti di progettazioni ingegneristiche, e destinata (tramite tre suoi cugini) al capo di Stato maggiore dell’Aeronautica indiana 2004-2007 Sashi Tyagi e a non identificati politici indiani allo scopo di propiziare la fornitura al governo indiano da 560 milioni. Impietriti gli imputati (anche dalla confisca di 7,5 milioni e dal risarcimento di 300.000 euro all’Agenzia delle entrate), sono i difensori Ennio Amodio, Novella Galantini e Massimo Bassi a bollare come «inspiegabile» una sentenza che afferma la corruzione non per atto contrario ai doveri di ufficio ma per l’esercizio delle funzioni; che «nel merito trasforma una poltiglia indiziaria in un costrutto inidoneo ad assumere dignità di prova»; e «che è fuori dall’Europa e nulla, in quanto la Corte avrebbe dovuto dare alle parti il potere di interloquire sulla modifica della qualificazione del fatto».
Haschke aveva già patteggiato 1 anno e 10 mesi. E AgustaWestland Spa e la filiale inglese Ltd avevano patteggiato nel 2014 la confisca di 7,5 milioni come profitto di corruzione internazionale in India, più 380.000 euro di sanzioni pecuniarie per l’illecito amministrativo della legge 231.
In attesa delle motivazioni è immaginabile che sui giudici d’Appello (Marco Maria Maiga, Ketty Lo Curto e Carla Galli) abbiano pesato gli elementi che i pm avevano lamentato ignorati o sminuiti dal Tribunale. Alcuni di contesto, come la mobilitazione degli ex vertici milanesi della Corte d’Appello e della Procura generale, per far capire a Orsi cosa potesse maturare al Csm sulla Procura di Busto erede del fascicolo avviato a Napoli dal pm Woodcock; o come le parole di Orsi in un interrogatorio, «in effetti il 30 marzo 2012 mi sono recato dal vicepresidente del Csm Vietti nel suo studio di Torino, massimo 20 minuti. Non intendo riferire quale sia stato l’oggetto della nostra conversazione riservata». Altri elementi erano invece di sostanza, come la riunione durante l’iter della gara del capo di Stato maggiore indiano Sashi Tyagi con Renzo Lunardi (direttore commerciale di Agusta) e Haschke nella casa-ufficio dei fratelli Tyagi, o come l’incontro tra Tyagi e Spagnolini. Incontri dopo i quali Tyagi, invitato a Milano alla Scala, «subito dopo lo spettacolo proseguì la serata nel ristorante Biffi Scala, seduti con le consorti a tavola Sashi Tyagi, Orsi, Caporaletti (presidente di una azienda di Finmeccanica, ndr ) e Saponaro» (successore di Lunardi alla direzione commerciale).
E poi, ancora altre intercettazioni di Gerosa nelle indagini: «L’unico che non corre rischi è Juli (Tyagi, cugino del comandante, ndr ) perché siamo noi il fronte... lì non c’è nessun collegamento, perché insomma... in contanti» (riferimento a 400.000 euro a mano). «Appunto, quindi non potrà mai essere provata la corruzione — era sicuro Hascke —. Potranno dire che hanno pagato molto cara l’ingegneria, ma non potranno mai dire che c’è stata corruzione». Anche perché, contava Haschke, «prima di fare la rogatoria su Mauritius, devono capire che (i soldi, ndr ) son finiti a Mauritius. Per capire che son finiti a Mauritius, devono prima fare una rogatoria sulla Tunisia, poi probabilmente tra 10 anni...». E Gerosa sospirava fiducioso: «Speriamo che non scoprano niente, è evidente che su Mauritius ci vogliono dei tempi... Guarda il processo di Berlusconi da quando vanno avanti, magari siamo già morti....». Ma magari no.