venerdì 8 aprile 2016

Corriere 8.4.16
Matteo e l’hashish a tredici anni «Così ne sono venuto fuori»
di Giusi Fasano
Dieci grammi al giorno: «Dovevo spacciare per procurarmeli»
Tredici anni appena compiuti e un disperato bisogno di aiuto. Matteo aveva contato i giorni, le ore. Quell’incontro pubblico, aveva deciso, sarebbe stato la sua via d’uscita, l’unica possibilità di salvarsi.
«Sono sicuro che questa ragazza mi aiuterà, ma tu aspettami fuori» ha supplicato sua madre davanti all’ingresso della sala. Tema dell’incontro: droghe e prevenzione. Siamo in un Comune del Veneto, qualche settimana fa. Alla conferenza (affollata) sono presenti insegnanti, genitori, ragazzi.
A malincuore quella donna mantiene la promessa fatta al figlio, lo vede entrare e rimane fuori a pregare il cielo che vada tutto bene, qualunque cosa sia. E mentre aspetta, al freddo e piena d’ansia, le sembra tutto più chiaro.
Lei e suo marito avevano capito che qualcosa non andava negli ultimi mesi: «C’erano dettagli che non quadravano più» racconta. «Matteo dormiva poco, sudava freddo, a volte sembrava incapace di coordinare i movimenti, la scuola ci aveva chiamati perché era in difficoltà...». Avevano pensato allo spettro di una malattia, a un periodo di tormenti adolescenziali, alla depressione.
Niente li aveva preparati alla verità. E cioè quello che Matteo, il piccolo di casa, ha sussurrato all’orecchio di Giorgia, la relatrice dell’evento: «Sono un tossicodipendente, ti prego aiutami». Il primo passo per uscire dal guado, coraggio e vita a spazzar via la paura.
Matteo conosceva la storia di Giorgia Benusiglio, sapeva tutto di lei: che tanti anni fa aveva preso una mezza pasticca di ecstasy ed era finita in coma, che le avevano dovuto trapiantare il fegato, che da anni vive con l’incubo del rigetto e porta nelle scuole il suo messaggio antidroga, che sa come aiutare i ragazzini come lui e, soprattutto, era certo che l’avrebbe ascoltato senza giudicarlo.
Così è andato dritto al punto: «Ti ho aspettato tanto, non ce la faccio più. Sono mesi che prendo più di dieci grammi di fumo o di marijuana al giorno, certe volte mischio tutto con dei farmaci e sniffo» le ha confessato appena il pubblico ha lasciato la sala.
Prima frasi bisbigliate, poi un fiume in piena di parole per raccontare tutto dall’inizio. «Sono stato io a chiedere di provare, la prima volta. L’ho fatto perché sennò mi sentivo fuori dal gruppo, mi sembrava di non essere accettato». Fra quel primo spinello e i dieci grammi al giorno sono passati soltanto pochi mesi e qualche volta Matteo, in quel periodo ancora nemmeno tredicenne, ha spacciato per «guadagnarsi» la sua parte. Finché l’allarme non è arrivato dal suo fisico: «Mi sento troppo debole, se non mi faccio una canna non dormo, non ce la faccio a smettere da solo e non voglio che mamma e papà soffrano per me. Certi amici mi dicono che a 25 anni morirò, quelli che fumano dicono che 10 grammi non sono niente. Non capisco più cosa devo fare. Mi giudicano tutti, io voglio solo tornare a stare bene come prima».
L’incontro pubblico si è chiuso verso mezzanotte, Matteo ha smesso di parlare con Giorgia alle tre del mattino, sua madre ha tremato e aspettato finché non l’ha visto ricomparire sull’uscio. Era morto di stanchezza ma era di nuovo lui, il suo Matteo «bellissimo, con quegli occhi celesti», come dice lei. Aveva il sorriso di chi, finalmente, può provare a ricominciare.
Quella notte è tornato a casa con lo sguardo fisso sulla sua mamma adorata: «Vedi che sta male? È triste» si è preoccupato con Giorgia mentre la guidava verso un primo nascondiglio segreto della «roba», in garage. Poi un altro, sotto un sasso lungo il fiume.
La prova delle prove è stata buttar via tutto in acqua e alla fine un giuramento solenne: «Da adesso in poi mai più. Domani dovrei vedermi con dei ragazzi per comprare 30 grammi. Non ci voglio andare». È andato a dormire che ormai albeggiava: «Non lo dire a papà» ha pregato sua madre prima di addormentarsi. Il peggio era passato. Adesso doveva solo tornare a vivere.
Naturalmente il padre ha saputo tutto un minuto dopo. «Ci siamo chiesti: dove abbiamo sbagliato? Che cosa?» ricorda sua mamma. «Non abbiamo ancora trovato una risposta. Ci siamo sempre detti che il nostro modello educativo sarebbe stato zero imposizioni e piena fiducia ai figli. Vale anche adesso, nonostante lo choc di questa storia. Voglio che il mio Matteo cresca con uno spirito libero e che impari dai suoi errori come sta facendo in questo caso. Ha fatto controlli medici, ha superato la dipendenza, ora sta bene e io so che ha capito la lezione».
L’ha capita al punto che adesso vorrebbe fare come Giorgia, aiutare gli altri ragazzetti come lui a non cedere davanti alla droga. A cominciare dagli stessi che hanno avuto a che fare con lui e dei quali ha parlato con i carabinieri. Sua madre gli ha spiegato che per aiutare qualcuno bisogna essere molto forti. Ci vuole la forza di chi sa riconoscere i propri limiti e ha l’umiltà di chiedere aiuto. Proprio come ha fatto lui.