Corriere 6.4.16
Statali, addio agli scatti uguali per tutti
Accordo sulla semplificazione negli accordi sindacali, autonomia per Palazzo Chigi
Restano solo 4 contratti su 11. I sindacati: adesso il governo non ha più alibi, ora il rinnovo
di Lorenzo Salvia
ROMA
Forse si avvicina il momento dei (mini) aumenti per gli oltre 3 milioni
di dipendenti della pubblica amministrazione. Ma, se così sarà, i
contratti da discutere non saranno più undici, bensì cinque. È stato
firmato nella notte l’accordo fra i sindacati e l’Aran, l’agenzia che
rappresenta la pubblica amministrazione come datore di lavoro, per
ridurre i comparti in cui sono organizzati i dipendenti pubblici. Dagli
undici di adesso si passa a quattro, più uno piccolo ma di rilievo che
si salva dalla riorganizzazione: la presidenza del consiglio. Cosa vuol
dire? Non ci saranno più undici contratti diversi ma cinque, non ci
saranno più undici tavoli per discuterne ma cinque. Non ci saranno più
undici delegazioni sindacali da convocare ogni volta ma cinque. Da
questo punto di vista l’accordo di ieri è un altro colpetto ai
sindacati, che d’ora in avanti avranno meno tavoli ai quali sedersi per
discutere di regole e stipendi. Anche per questo l’accordo dà 30 giorni
di tempo alle organizzazioni dei lavoratori per redistribuire le
deleghe, cioé il potere di firma al tavolo della trattativa, con
eventuali fusioni e accorpamenti.
Il ministro della Pubblica
amministrazione Marianna Madia parla di un sistema «più semplice e
innovativo». La sanità e gli enti locali restano due comparti a sé, come
è già adesso. In quello delle «funzioni centrali» si fondono i
ministeri, gli enti pubblici non economici, come l’Inps, e anche le
agenzie fiscali, che pure avevano rivendicato il mantenimento di un
comparto separato facendone una questione di sopravvivenza, e infatti
protestano. Quello dell’istruzione mette insieme scuola, ricerca,
università, accademie e conservatori. La presidenza del consiglio non
entra in nessuna delle nuove quattro aree, che come numero ma non come
perimetro erano state fissate nel 2009 da un decreto dell’allora
ministro Renato Brunetta. Per questo Palazzo Chigi resta di fatto un
comparto separato, come confermano all’Aran.
Cosa succederà
adesso? Cgil, Cisl e Uil dicono che il governo «non ha più alibi»: deve
aprire «subito» le trattative per il rinnovo del contratto, visto che il
blocco è stato bocciato da una sentenza della Corte costituzionale di
quasi un anno fa, e trovare risorse aggiuntive. Al momento sul piatto ci
sono i 300 milioni di euro previsti dalla Legge di Stabilità. Una dote
che, secondo gli stessi sindacati, porterebbe ad un aumento di appena
otto euro al mese. Il governo ha già detto che non seguirà il metodo dei
polli di Trilussa,cioè aumenti uguali per tutti, ma che terrà conto sia
delle fasce di reddito sia della produttività. Il percorso, però, è
ancora lungo. Entro un paio di settimane i sindacati saranno convocati
al ministero. Ma quella non sarà l’apertura formale della trattativa. Il
ministro Madia sarebbe intenzionato ad ascoltare le loro richieste e
osservazioni sia sul rinnovo del contratto sia sul testo unico del
pubblico impiego, uno dei decreti attuativi della riforma approvata
l’estate scorsa. Poi si vedrà.