mercoledì 6 aprile 2016

Corriere 6.4.16
La preside anti-droga contestata «I genitori aizzavano i figli»
Spacciatore arrestato al liceo Virgilio di Roma. «Io assediata, ho avuto paura»
intervista di Claudia Voltattorni

ROMA Ha avuto paura?
«Mi sono molto spaventata, certo. I ragazzi erano fuori dalla mia stanza, prendevano a calci la porta e urlavano cori e insulti. È stata violenza pura».
Da tre anni, Irene Baldriga è la dirigente scolastica del liceo Virgilio di Roma. Istituto storico nel centro della Capitale, in via Giulia, 1.400 studenti, molti figli di parlamentari e intellettuali. A mesi alterni la scuola finisce sui giornali e sempre per episodi negativi. Lo scorso dicembre un’occupazione di quindici giorni è finita solo con l’intervento del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone. Due settimane fa, durante la ricreazione i carabinieri hanno arrestato un 19enne per spaccio scatenando la furia degli studenti del Collettivo che hanno improvvisato un corteo fino alla presidenza con contestazioni a preside e forze dell’ordine. La scuola è spaccata. C hi accusa la preside di aver «instaurato un clima di terrore, mette le telecamere e minaccia la privacy degli studenti», e chi la difende, «nessuna repressione, solo azioni per tutelare la salute dei ragazzi». In prima fila, molti genitori.
«Vede, anche in una scuola di Torino è arrivata la polizia. Lì però c’è stata una presa di coscienza e una riflessione su come intervenire contro lo spaccio. Da noi si è scatenata la rivolta, una protesta violenta con figli e genitori a urlare contro i carabinieri».
Ma non dovevano essere contenti dell’arresto dello studente spacciatore non più libero di vendere hashish dentro la scuola?
«Me lo sono chiesto anche io. Solo che c’è chi trasmette l’idea che consumare stupefacenti non sia dannoso e questa è una vera emergenza sociale, la droga tra i ragazzi è in aumento, altro che i fatterelli del Virgilio. Ma dei genitori difendono questi comportamenti violenti e dimenticano che la scuola è un’istituzione pubblica: è la prima forma di Stato con cui si entra in contatto, abbiamo una responsabilità etica, dobbiamo insegnare legalità e rispetto delle regole».
Davanti alla sua aula c’erano anche dei genitori?
«Sì. Al Virgilio c’è una maggioranza silenziosa di genitori. Ci sono poi gli indignati per quello che succede da mesi. E infine i contestatori: alcuni erano lì con i figli. Quella rivolta, come l’occupazione di dicembre, è stata guidata dall’esterno, genitori strumentalizzano i figli magari per fare politica e farsi vedere. È una minoranza, ma molto agguerrita che sembra voler dare un’immagine distruttiva della scuola».
Ma perché?
«Noi siamo sottoposti a pressioni sotterranee, il Virgilio ha un’esposizione mediatica sovradimensionata, tutto questo è voluto e cercato da alcuni che vogliono espropriare la scuola del proprio ruolo, come se al Virgilio vigesse l’extraterritorialità: ma è intollerabile pensare che una scuola pubblica cada nelle mani dei privati, si rischia che i più potenti diventino i padroni».
Forse vogliono vedere da vicino cosa succede nel luogo dove vivono i propri figli?
«Non è così. Qui si tratta di un fenomeno dei nostri tempi sempre più diffuso: genitori invadenti che pretendono di intervenire su tutto, che si sostituiscono alla scuola, ma alla fine danneggiano i figli privandoli della propria autonomia. Così cercano di colmare le assenze in casa dove non si parla e non ci si confronta».
È stata preside in periferia, il liceo Volterra di Ciampino: c’era lo stesso clima?
«Lì succedeva il contrario! Lì ho creato un comitato di genitori, perché credo nella loro partecipazione, ma senza sostituirsi alla scuola».
Domattina alcuni presidi hanno organizzato un «caffè solidale» davanti al suo liceo, contenta?
«Ho ricevuto solidarietà da tutta Italia, sono commossa e grata perché la vicenda del Virgilio è diventata un simbolo, una foto della situazione paradossale della scuola di oggi dove c’è una parte della società che non fa altro che criticarci e denigrarci. Ecco, noi abbiamo bisogno di un riconoscimento del nostro lavoro: ce lo meritiamo».