Corriere 5.4.16
Quei 13 no pesanti al «capo»
Cuperlo: arrogante, non leader
L’agguato spiazza il premier
di Monica Guerzoni
ROMA
Nella sala che si va svuotando rimbalzano ancora gli echi dello scontro
tra Renzi e la minoranza, quando le mani dei contrari scattano verso
l’alto. Speranza, Cuperlo, Bersani, Epifani, Stumpo, Zoggia, Agostini,
Emiliano... Tredici no alla relazione di Renzi, dopo l’ordine del giorno
con cui 24 esponenti dell’opposizione interna avevano messo a verbale
la loro divergenza. «Coltivi l’arroganza del capo, ma ti manca la
statura del leader», lo aveva punto nell’orgoglio Gianni Cuperlo. E
Roberto Speranza aveva bollato come «del tutto insufficiente» la
segreteria di Renzi.
Giornata lacerante, per i dem. Una direzione
che ha scavato ancor più il solco, proprio quando il leader sperava di
ricompattare il partito per respingere «l’assalto esterno». E invece
l’attacco al capo arriva dalla «ditta» ed è così duro che, raccontano,
Renzi proprio non se lo aspettava. «Ha subìto il colpo, abbiamo menato
forte e abbiamo vinto noi» esultano le voci della minoranza, «siamo
stati durissimi e Renzi, invece di asfaltarci, ha replicato
balbettante...».
A conferma che «l’agguato», organizzato alla
Camera in una riunione riservata all’ora di pranzo, ha spiazzato il
premier ci sono gli interventi degli uomini a lui più vicini. C’è
Gentiloni che addebita a Cuperlo e Speranza «la sindrome
dell’usurpatore», che sta portando il Pd «al limite della possibilità di
convivere». E c’è il sottosegretario De Vincenti, che non è in
direzione eppure chiede la parola per rivendicare come «sacrosanto»
l’emendamento di Tempa Rossa, che ha costretto alle dimissioni la Guidi e
messo in difficoltà la Boschi. E poi, a Cuperlo e Speranza: «Non c’è
stata nessuna notte degli imbrogli».
Offeso per le parole di Renzi
sulle correnti ridotte «a spifferi» e per l’accusa alla sinistra di
aver distrutto l’Ulivo, il solitamente dialogante Cuperlo si è spinto
fino a evocare la scissione: «Mi colpisce il tono e il luogo che hai
scelto per dire queste cose, la scuola di formazione del Pd... Hai
chiesto il voto per fare il segretario, ma non lo fai e spingi qualcuno a
uscire. E io sento il peso di stare in un partito che sembra aver perso
le proprie ragioni». Speranza non è stato più tenero quando ha detto
«avevamo un partito senza primarie, ora rischiamo di restare con le
primarie senza più il partito». Tanta veemenza si spiega anche con gli
umori scatenati dall’inchiesta su affari e petrolio. «Nella mia regione
su questa roba c’è la rivoluzione francese», ha detto ai suoi Speranza,
che è nato in Basilicata e deve scacciare i sospetti che qualcuno al
governo lavori per gli «affari di famiglia».
Renzi, nella replica,
è stato attento a non soffiare su un incendio ormai divampato, tanto da
stupire tutti con un grazie ai predecessori, «Walter, Pier Luigi,
Dario, Guglielmo». Ma Emiliano ha menato fendenti fino a sera. Il leader
lo ha spronato a studiare? E il presidente della Puglia lo ha accusato
di parlare «come i petrolieri».
Alla fine, quando è toccato a lui
respingere le «critiche cattive» sul giglio magico come «una enclave che
decide per i fatti propri», Renzi si è rimboccato stancamente le
maniche e, pur apprezzando «la franchezza di Gianni», ha definito
«profondamente ingiusto questo spararsi addosso». E poi, con un mix
esplosivo di rabbia e affetto, si è rivolto a Emiliano: «Io un venditore
di pentole? Michele, non hai bisogno di frasi tanto volgari... Tu sei
meglio di così».