lunedì 4 aprile 2016

Corriere 4.4.16
Brigate rosse e Isis
Non è la stessa battaglia
risponde Sergio Romano

Nel 1978, Paolo VI si rivolse agli «Uomini delle Brigate Rosse». Fu un gesto che lasciò spiazzati soprattutto i fautori della linea dura che non ammetteva trattativa alcuna con chi attentava alla vita di innocenti.
È vero, lo fece per l’amico Aldo Moro ancorandosi ad un fatto incontrovertibile: i brigatisti erano uomini dotati, se non di anima e cuore, almeno di una intelligenza che avrebbe potuto farli ragionare.
Agli attuali terroristi sarebbe impensabile rivolgersi loro con un «Uomini dell’Isis». Nemmeno papa Francesco abbozza un simile approccio. Eppure, se le cose vanno avanti così, con attentati cui seguono timidi arresti a loro volta seguiti da nuovi attentati, occorrerà prima o poi appurare cosa vogliono in definitiva dai crociati occidentali questi «uomini». A costo di andare nei loro covi innalzando bandiera bianca, se vi si esce con in mano anche solo il risultato di aver ottenuto una tregua anticipatrice della moratoria degli attacchi sanguinari all’Occidente, non sarebbe un gesto che lascia ben sperare?
È vero, con l’uccisione di Aldo Moro, gli «Uomini delle Brigate Rosse» non si mostrarono subito uomini, ma si servirono poi del pentitismo per diventarlo e pentiti si diventa solo se c’è qualcuno che ti ricorda che, in fondo in fondo, sei un uomo.
C’è un’altra strada per condurre i carnefici dell’Isis alla consapevolezza di essere uomini? Non mi meraviglierei se questa volta a scrivere la lettera agli «Uomini dell’Isis» fosse Putin e non il Papa.
Alessandro Prandi

Caro Prandi,
Paolo VI parlava allora come vescovo di Roma ed è probabile che cercasse di incoraggiare con quelle parole il partito italiano della trattativa, presente particolarmente nel campo socialista. Ma era anzitutto un grande leader spirituale e le sue armi erano la pietà, la misericordia, l’amore del prossimo, la rinuncia alla violenza: argomenti a cui le Brigate Rosse dimostrarono di non essere sensibili. Se un analogo invito fosse stato lanciato da personalità laiche o, addirittura, dal governo, i rapitori avrebbero probabilmente chiesto un corrispettivo.
Qualcuno aveva già prospettato la liberazione di due brigatisti detenuti e il presidente della Repubblica, apparentemente, era disposto a firmare lo strumento che avrebbe reso possibile l’operazione. Ma prevalse, alla fine, la convinzione che ogni cedimento sarebbe stato una inaccettabile offesa alla autorità dello Stato. Qualcuno ancora pensa che quella fermezza fu un errore. A me sembrò invece che la liberazione di due brigatisti avrebbe incoraggiato le Br ad avanzare altre richieste, sempre più compromettenti, e avrebbe creato uno Stato nello Stato.
Il caso dell’Isis è diverso. Lo Stato islamico ha effettivamente alcune caratteristiche statuali: un territorio, alcuni organi amministrativi, formazioni combattenti, un leader, una sorta di governo (il ministro delle Finanze sarebbe stato ucciso dagli americani negli scorsi giorni).
Non rispetta le regole del diritto internazionale ed è animato da un travolgente fanatismo religioso. Ma le sue dimensioni e i suoi interessi potrebbero indurlo a proporre tregue e scambi di prigionieri, come sembra essere già accaduto in alcune limitate circostanze.
Quanto a Vladimir Putin, caro Prandi, la decisione di ritirare il contingente russo sembra dimostrare che la distruzione dell’Isis non è in questo momento la sua principale preoccupazione.
Ma il leader russo resta comunque, grazie all’esperienza cecena, l’uomo di Stato europeo che meglio conosce il terrorismo islamista e i mezzi con cui combatterlo.