lunedì 4 aprile 2016

Corriere 4.4.16
I prestanome e gli amici. La rete dello zar
di Fabrizio Dragosei

Da anni si cercano le prove della presunta corruzione del presidente russo Vladimir Putin. Anche questa volta nessuna prova diretta, ma spunta un quasi sconosciuto musicista di San Pietroburgo.
MOSCA Sono almeno dieci anni che giornali, governi e servizi segreti cercano le prove della presunta corruzione di Vladimir Vladimirovich Putin. Si è sempre parlato di amicizie, connessioni e perfino di possibili prestanome. Ma mai prove. Anche questa volta, nelle migliaia di pagine che arrivano da Panama il nome del presidente russo non compare nemmeno una volta. Spunta fuori però un quasi sconosciuto musicista di San Pietroburgo, titolare di diverse società che, tutte assieme, avrebbero asset superiori ai cento milioni di dollari (ma secondo fonti russe, sarebbero invece due miliardi di dollari). Un po’ tantino per Sergej Roldugin che ai giornalisti si è limitato a rispondere: «Sapete ragazzi, ora non sono pronto a commentare la cosa. Si tratta di questioni delicate. Ero legato a questi affari tanti anni fa…».
Roldugin e altri sodali avrebbero guadagnato milioni in affari impossibili da trattare senza il patrocinio di Putin. Inoltre, secondo le carte la famiglia del presidente russo avrebbe tratto beneficio da questo flusso denaro, ovvero i soldi dei prestanome sembravano i soldi di Putin. Qualche esempio: Roldugin risulta avere una quota pari al 12,5% nella più grande agenzia pubblicitaria televisiva russa, la Video International (un miliardo di entrate annue). Inoltre possiede parte della Kamaz, fabbrica di veicoli militari e il 15% di una compagnia cipriota chiamata Raytar. Ancora: il 3,2% della Banca Rossiya. Non male per un «semplice» violoncellista.
L’amico
La cosa interessante è che Roldugin è molto amico di Putin. Secondo il quotidiano Guardian , gli avrebbe presentato la moglie Ludmila (dalla quale il presidente è ora divorziato) e avrebbe fatto da padrino alla figlia Maria. Notizie rilevanti, certo, ma non sufficienti a corroborare l’accusa di corruzione che perfino l’amministrazione americana ha avanzato nei confronti del leader russo. E poi si tratterebbe di ben poca cosa rispetto agli almeno quaranta miliardi di dollari di ricchezze che i critici attribuiscono a Vladimir Vladimirovich. Le ultime notizie hanno scatenato reazioni particolarmente vivaci da parte del Cremlino, forse perché coinvolgono direttamente le figlie del presidente. Informato degli articoli che stavano per uscire su vari mezzi d’informazione, il portavoce Dmitrij Peskov ha parlato di «diffamazione e menzogne», ma ha aggiunto un’accusa precisa: quella contro Putin è una campagna orchestrata per influenzare le elezioni parlamentari d’autunno.
In realtà, in questi anni di indagini sono emersi moltissimi fatti assai rilevanti che sembrano coinvolgere decine di amici ed ex colleghi del Kgb che sono diventati ricchi e importanti. E la domanda, naturalmente, è: con l’aiuto di Putin? Il pensiero corre immediatamente ad alcuni dei più «vicini», come i fratelli Rotenberg che condividevano la passione per il judo con l’allora giovanissimo Vladimir. Poi i compagni del primo direttorato del Kgb (Gennadij Timchenko, uno dei pochi che ha avuto il privilegio di rivendere all’estero il petrolio russo) e gli amici che negli anni Novanta crearono una cooperativa di dacie vicino San Pietroburgo, tra i quali, ad esempio, Yurij Kovalchuk, indicato da molte fonti come il banchiere della Famiglia.
Ora, si tratterà certamente di gente particolarmente ferrata negli affari, onestissima e molto brillante. Ma è possibile che l’amicizia col capo non abbia contribuito a trasformare la Banca Rossiya (di Kovalchuk) partita con un capitale di qualche milione di euro in uno dei colossi del Paese che ha assorbito a prezzi stracciati altre banche, aziende di comunicazioni e altri asset in buona parte di provenienza pubblica?
La Banca Rossiya
Casualmente, altro socio di peso della stessa banca Rossiya è Nikolaj Shamalov, anche lui compagno di vecchia data di Putin (naturalmente era nella cooperativa di dacie). È sempre una coincidenza il fatto che il figlio di Shamalov, Kirill, sia il marito della figlia di Putin? Nel rapporto che l’oppositore Boris Nemtsov stava preparando quando venne ucciso, si sostiene che gli amici di Putin hanno attuato una vera e propria «spoliazione» di Gazprom, trasferendo per pochi soldi asset a società controllate da loro. Da Gazprombak a Gazprom-Media, azienda che è passata di mano «a un quarantacinquesimo del suo valore», secondo Nemtsov. Possibile che chi è alla guida di Gazprom non abbia detto nulla? Nemtsov ricordava che si tratta di Aleksej Miller, che già lavorava agli ordini di Putin al comune di San Pietroburgo.
Naturalmente tutti questi amici così ben piazzati nel mondo del biziness (come dicono in Russia) hanno rampolli altrettanto brillanti. Dai due figli di Shamalov, uno azionista di varie società, l’altro dirigente di Gazprombank, a Boris Kovalchuk, Sergej Ivanov, Gleb Frank, Igor e Roman Rotenberg. Sì, sempre gli stessi nomi .
La guerra interna
Una decina di anni fa si scatenò una guerra tra il partito dei democratici e quello dei cosiddetti silovikì , cioè uomini del Kgb e delle forze armate, per avere tutto il potere sotto Putin. Ci furono anche arresti clamorosi (un vice ministro e un generale dell’antidroga). Poi i silovikì presero il sopravvento e, secondo alcuni ben addentro alle cose, diedero inizio a quella che fu chiamata la «ri-privatizzazione di velluto». L’espressione è di Oleg Shvartsman, un uomo d’affari coinvolto nell’operazione.
Oggi sono loro, ex agenti segreti, ex compagni di judo, ex vicini di dacia, a controllare buona parte dell’economia del Paese. Su Putin solo voci, come il grande palazzo nel Caucaso, il patrimonio personale «segreto» di quaranta miliardi, eccetera. Di certo sappiamo solo che l’anno scorso ha dichiarato un reddito di poco superiore ai centomila euro, due modesti appartamenti e un posto auto coperto .