Corriere 4.4.16
Sparizioni forzate. Il sistema Al Sisi
di Viviana Mazza
Il
25 gennaio 2016, anniversario della rivoluzione del Cairo e data della
sparizione di Giulio Regeni, viene indicato dalla Commissione Egiziana
per i Diritti e le Libertà come la data d’inizio di una «nuova fase
preoccupante» nel fenomeno delle sparizioni forzate. Prima di quella
data — spiega la ricercatrice Riham Wahba — gli scomparsi tendevano a
riapparire prima o poi in prigione, nei commissariati o davanti al
procuratore «con accuse costruite, solitamente incentrate
sull’appartenenza alla Fratellanza Musulmana, la destabilizzazione del
Paese e la diffusione di notizie false». Dal 25 gennaio però tre
scomparsi sono riapparsi all’obitorio, con chiari segni di tortura sul
corpo. Già nel 2015 c’erano state cinque morti accertate dopo sparizioni
forzate. «Ma erano riapparsi vivi e sono poi deceduti in prigione o una
volta liberi, a causa delle torture o del peggioramento della salute.
Nel 2016 sono spuntati invece i cadaveri in obitorio».
I numeri
La
Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, insieme al Centro El
Nadim per la Riabilitazione delle Vittime di Violenza è la fonte
dell’inchiesta del Corriere della Sera sulle sparizioni forzate avvenute
dall’agosto 2015 ad oggi: oltre 500 persone prelevate, tenute in centri
segreti, torturate; e di 396 non si sa più nulla. La Commissione sta
per pubblicare un nuovo rapporto che porterà a 569 il numero dei casi
documentati negli ultimi otto mesi. «Si tratta comunque di stime
conservative» nota il direttore Mohamed Lotfy, un ex ricercatore di
Amnesty. Molte famiglie non fanno denuncia, per timore di ritorsioni o
nella convinzione che gli attivisti possano fare poco. «La reale portata
del fenomeno potrebbe essere di 1700 casi l’anno, sulla base della
media è di 2,7 casi al giorno».
Islamisti e non solo
Gli
apparati prendono di mira non solo gli islamisti, i loro amici e i loro
parenti, ma un gruppo più ampio di persone, inclusi studenti e attivisti
laici, e anche persone politicamente non affiliate. «C’è un 20% di
arresti che avvengono praticamente a caso — ci dice l’avvocato Hisham
Halim —. Una volta, per esempio, le forze di sicurezza cercavano una
determinata persona e, trovandola a casa con gli amici, hanno fermato
tutti e 17 i presenti incluso un cieco». Il modus operandi si ripete: le
forze di sicurezza prelevano le persone a casa, sul lavoro o in strada;
le perquisiscono e minacciano di fronte ai familiari e colleghi;
bendano la vittima e l’arrestano; poi negano che l’arrestato si trovi in
alcun commissariato o prigione.
Soprattutto ventenni
Le
donne sono una minoranza (4 nel nostro conteggio). L’età media è sui 25
anni ma ci sono alcuni minorenni, spesso 16-17enni: una dozzina tra
agosto e novembre 2015, una trentina nei 4 mesi successivi. «A gennaio
ne sono stati prelevati 15 tutti insieme ad Alessandria», spiega Wahba.
Il
variare dei numeri delle sparizioni registrate da un mese all’altro non
dipende da un diverso approccio delle forze di sicurezza, secondo
Lotfy, ma dalla disponibilità delle famiglie a denunciare i casi: è
stata maggiore ad agosto e settembre, quando fu lanciata la campagna
«Basta Sparizioni Forzate» e il governo rispose su alcuni casi; ed è
stata alta dopo la visibilità del caso di Giulio. A gennaio invece i
casi registrati erano diminuiti perché «abbiamo dovuto lavorare da casa,
temevamo di essere attaccati in ufficio, un nostro membro del consiglio
di amministrazione, Ahmed Abdullah, è stato quasi rapito».
La «ricomparsa»
La
metà degli scomparsi riappare nel giro di due settimane o un mese —
spiega Lotfty —, il 25% entro sei mesi e il resto dopo più tempo (e a
volte non riappare). Molti hanno subito torture, come elettroshock e
minacce di violenze sessuali, al fine di estrarre loro confessioni o
informazioni sull’organizzazione di proteste o presunti attacchi
terroristici.
Sui tre casi di «ricomparsa» dei corpi in obitorio
nel 2016, Lotfy afferma che spiegare il perché è difficile. «Forse è il
risultato di un crescente senso di impunità ed è anche un modo per
diffondere la paura. O forse, come potrebbe essere accaduto nel caso di
Giulio, chi li ha fatti sparire teme che, una volta liberati, parlino».