Corriere 26.4.16
Illegalità diffusa che alimenta la nostra corruzione
di Ernesto Galli della Loggia
Il
dottor Davigo non si fa molte illusioni sulla moralità dei politici.
Personalmente me ne farei anche meno sulla moralità di coloro che li
eleggono. Sulla nostra. Del resto come potrebbe essere altrimenti?
Appena inizia ad aprirsi alla ragione il giovane italiano va a scuola.
Lì tutti cercano di copiare senza che la cosa desti particolare
riprovazione. Chiunque vuole, poi, può maltrattare arredi, imbrattare di
scritte di ogni tipo (in genere oscene) i bagni, scrivere e disegnare a
suo piacere sui muri dell’edificio: anche in questo caso senza alcuna
sanzione. Così come senza alcuna sanzione significativa resterà ogni
atto d’indisciplina: se marinerà la scuola, se si metterà a compulsare
il suo smartphone durante le lezioni, se manderà l’insegnante a quel
paese. Imitato in quest’ultima attività anche dai suoi genitori. I quali
talvolta — assai più spesso di quanto si creda — ameranno ricorrere
anche a insulti e minacce. Tutto coperto sempre da una sostanziale
impunità. Non basta. In genere, infatti, la scuola sarà per il nostro
giovane concittadino anche un’ottima palestra di turpiloquio, di
bullismo sessista, di scambio di materiale pornografico quando non di
spaccio di droga. Uscito dalle aule all’una, per tornare a casa
l’adolescente italiano, se usa i trasporti pubblici si eserciterà nel
salto del tornello sulla metro o si guarderà bene, se vorrà (ma perché
non volerlo?) dal pagare il biglietto di un autobus o di un tram. Ha
imparato da tempo, infatti, che in Italia pagare il biglietto sui mezzi
pubblici è più che altro un’attività amatoriale, un hobby. Per farlo
bisogna esserci portato.
Ma naturalmente è più probabile che
invece il nostro abbia un motorino. Il più delle volte, va da sé, con la
marmitta truccata. Insomma, un po’ più veloce e molto più rumoroso del
consentito. Gliel’ha aggiustato un meccanico e, si capisce, il giovane
italiano ha pagato per questo anche un bel po’: eppure una ricevuta
fiscale o uno scontrino egli s’è guardato bene dal chiederli e l’altro
dal darglieli. E allora via con il motorino truccato: tanto che
probabilità ha di essere fermato e multato? Diciamo una su centomila.
Dunque avanti come se nulla fosse. Avanti a sorpassare sulla destra, a
tagliare la strada con repentini cambi di corsia, una mano sul manubrio e
l’altra impegnata a twittare.
Un po’ di studio nel pomeriggio, e
arriva finalmente la sera: il momento di svagarsi, specie se è sabato.
Sì, è vero, vendere gli alcolici ai minorenni sarebbe vietato, ma via!,
non vorremo mica vedere strade e botteghe deserte, spero. Dunque una
birra, due birre, tre birre in un pub e poi in un altro ancora; o
qualcosa di più forte in discoteca. Come si sa, tutti locali aperti di
solito anche oltre l’orario stabilito: del resto è la movida, no?
Pertanto anche se c’è un po’ di schiamazzo sotto le finestre della gente
che dorme, e magari qua e là gare di velocità tra motorini, e sgassate
micidiali, e cocci di bottiglie rotte sui marciapiedi, che problema c’è?
Inevitabilmente vigili e carabinieri, seppure risponderanno mai alle
telefonate inviperite di qualcuno, in genere non faranno, non potranno
fare (loro almeno così dicono) un bel niente.
Ottenuta senza
troppa fatica una licenza (in Italia le percentuali dei promossi
sfiorano abitualmente il cento per cento), bisogna alla fine iscriversi
all’università. Le tasse, è vero, sono un po’ cresciute in questi ultimi
anni, ma non c’è una riduzione o addirittura l’esenzione per chi viene
da una famiglia a basso reddito? È a questo punto che il nostro giovane
italiano compie l’atto finale della sua educazione sentimentale alla
legalità. Quando scopre, per l’appunto che il suo papà e la sua mammina,
accorsati commercianti, ottimi professionisti, funzionari di buon
livello, possessori di un suv e di un’utilitaria, di un
bell’appartamento in un quartiere niente male, di una casetta al mare e
di un adeguato gruzzoletto da parte, mamma e papà che ogni anno si fanno
la loro settimana bianca e la loro vacanza da qualche parte nel mondo, e
i quali come si dice non si fanno mancare niente, scopre il nostro
giovane, dicevo, che essi però al Fisco risultano titolari di un reddito
che consente a lui di avere una discreta riduzione delle tasse
universitarie e a tutta la famiglia l’esenzione dal ticket sanitario.
A
quanti giovani italiani può applicarsi questo ironico ma realistico
ritratto di un’educazione alla legalità? A molti, direi. Con qualche
ulteriore elemento (tutt’altro che raro) da mettere eventualmente in
conto: tipo frequentazione di un centro sociale antagonista o presenza
in casa di una vecchia zia finta invalida con relativa pensione.
Da
quanto tempo è in questo modo — attraverso la forza senza pari
dell’esempio diffuso capillarmente e quotidianamente attraverso queste
micidiali dosi omeopatiche — che i giovani italiani (non
nascondiamocelo: in particolare quelli del ceto medio, della cosiddetta
«buona borghesia») apprendono come funziona il loro Paese e in quale
conto vi deve essere tenuto il rispetto delle regole? Alcuni non ci
stanno e se ne vanno, ma la grande maggioranza ci si trova benissimo e
cerca una nicchia dove sistemarsi (spesso grazie alla raccomandazione
e/o alle relazioni dei genitori di cui sopra).
La nostra
corruzione nasce da qui. Da questo rilasciamento di ogni freno e di ogni
misura che ha accompagnato il nostro divenire ricchi e moderni. In
Italia il marcio della politica è il marcio di tutta una società che da
tre, quattro decenni, per mille ragioni — non tutte necessariamente
malvagie — ha deciso sempre più di chiudere un occhio, di permettere, di
non punire, di condonare. Certo, Piercamillo Davigo ha ragione, lo ha
deciso la politica. Ma perché il Paese glielo chiedeva. Il Paese
chiedeva traffico d’influenza, voto di scambio, favori di ogni tipo,
promozioni facili, sconti, deroghe, esenzioni, finanziamenti inutili
alle industrie, pensioni finte, appalti truccati, aggiramenti delle
leggi, concessioni indebite, e poi soldi, soldi e ancora soldi. E con il
suffragio universale è difficile che prima o poi la volontà del Paese
non finisca per imporsi.
Di questo dovrebbe occuparsi la fragile
democrazia italiana, di questo dibattere i suoi politici che ancora
sanno che cosa sia la politica: del mare di corruzione dal basso che
insieme alla delinquenza organizzata minaccia di morte la Repubblica.
Per i singoli corrotti invece bastano i giudici: ed è solo di costoro
che è loro compito occuparsi.