Corriere 26.4.16
Come scompare uno Stato La fine della Jugoslavia
risponde Sergio Romano
Una
sua risposta termina con un accenno ad un suo viaggio a Belgrado negli
anni Novanta, dove ebbe, come Lei dice, l’occasione di esprimere qualche
dubbio sulle reali motivazioni del conflitto e aggiunge «fui guardato
con sorpresa e rammarico». Termina la frase con un «non ho cambiato
idea». Potrei conoscere «la sua idea», sull’argomento sul quale io non
ho ancora la idee chiare di quella tragedia.
Remo Colombo
Caro Colombo,
Credevo
allora, e la mia analisi non è cambiata, che la crisi dello Stato
jugoslavo fosse strettamente collegata con la storia del Paese. La
Jugoslavia era nata dopo la fine della Grande guerra dalla unione delle
tre maggiori popolazioni slave della penisola balcanica: sloveni, croati
e serbi. Ma i tre popoli avevano alle spalle storie alquanto diverse.
La Serbia poteva vantare una indipendenza conquistata sul campo di
battaglia, soprattutto contro i turchi ottomani. La Croazia, dopo una
antica indipendenza, era ormai da tempo una provincia del regno
d’Ungheria e la Slovenia una sorta di appendice balcanica della Carinzia
austriaca. L’unione premiava i serbi, nemici degli Imperi centrali sin
dal primo giorno del conflitto, ma dava a croati e sloveni un ruolo
minore e, agli occhi di molti nazionalisti, insufficiente.
Ne
avemmo la prova durante la Seconda guerra mondiale. Quello che è passata
alla storia come un epico conflitto tra le formazioni jugoslave del
maresciallo Tito e le potenze occupanti (Germania e Italia) fu anche una
duplice e crudele guerra civile: i comunisti di Tito contro i
monarchici del generale Michalovic, i serbi contro i croati di Ante
Pavelic. Tito sfruttò la vittoria, alla fine della guerra, per imporre
la sua autorità e seppe creare una nuova ideologia nazionale per un
Paese che negli anni della Guerra fredda riuscì a essere
contemporaneamente comunista e neutrale. Ma le antiche divisioni
sopravvissero; e ai tre gruppi etnici originali si aggiunse, fra gli
anni Settanta e Ottanta, quello dei musulmani bosniaci: una popolazione
slava che si era convertita all’Islam durante la dominazione ottomana.
La
fine della Guerra fredda e la disintegrazione dell’Urss ebbero per la
Jugoslavia due effetti negativi: segnarono la fine del comunismo e
resero inutile quel ruolo di Paese neutrale fra i due blocchi che la
Jugoslavia aveva intelligentemente recitato sino alla fine degli anni
Ottanta. Scomparse le ragioni dell’unità, occorreva creare uno Stato
confederale, fondato su interessi e criteri diversi. Ma il frettoloso
riconoscimento tedesco dell’indipendenza croata e slovena resero quel
tentativo impossibile. La divisione del Paese sarebbe stata
relativamente semplice se i confini interni avessero separato zone
etnicamente omogenee. Ma in Bosnia e in Croazia esistevano regioni
abitate da importanti comunità serbe e nella prima, in particolare,
esisteva anche un minoranza croata.
Furono queste, e non i contrasti religiosi, caro Colombo, le vere cause della guerra.