giovedì 21 aprile 2016

Corriere 21.4.16
Elezioni di Roma
Giachetti: «I sondaggi? Li butto nel cestino Io ho già scalato una montagna»
«in città l’immagine del Pd è opaca. Mi dicevano: perché te dovrei vota’?»
di Fabrizio Roncone

ROMA Ti dicono: no, guarda, lascia stare. Roberto è di pessimo umore, scatta per un niente, è cupo, negativo, quasi invecchiato e del resto bisogna capirlo, poverino, perché i sondaggi lo danno sotto alla grillina Raggi, forse pure alla Meloni e un bel pezzo di partito, se ancora a Roma il Pd è un partito, un bel pezzo di zoccolo duro composto da capetti falliti e infedeli faccendieri di sezione invece di dannarsi per la rimonta assiste gongolando immobile, felice di veder andare a sbattere il candidato sindaco scelto da Matteo Renzi.
Anime nere? Può darsi.
La politica è piena di anime nere.
Meglio andare a vedere.
Tra mezz’ora Roberto Giachetti presenterà la sua lista nella sede del comitato elettorale, all’ex Dogana, scalo di San Lorenzo: le finestre spalancate su un cielo azzurro, il rumore dei treni nel silenzio dei corridoi, stanze enormi e vuote, qualche scrivania di Ikea, qualche sedia, un paio di volontari annoiati, telefoni muti (è interessante sapere che in questo momento, all’ex Collegio Nazareno, nella sede del partito, c’è invece l’impazzimento dei telefoni fissi e dei cellulari: Matteo Orfini, il commissario straordinario, sta faticosamente cercando di chiudere la lista ufficiale del Pd e urla, minaccia, poi cambia tono, chiede dolcemente, implora, e però di nuovo subito s’infuria, perché gli sembra intollerabile, e forse magari lo è, che chiunque detti condizioni, voglia garanzie e per accettare il ruolo di capolista pretenda la certezza di diventare almeno assessore).
Arriva un tecnico di Sky: «Aho’! Noi dovemo piazzà le luci…».
Una signora, l’aria davvero chic, si volta e fa: «Gradisce un po’ di pizza bianca?».
Si apre una porta ed esce Daniele Palmisano, responsabile organizzazione: «L’atmosfera è moscia, lo vedo. Ma la campagna elettorale, di fatto, sta cominciando in queste ore…».
Poi, in fondo al corridoio, compare Roberto Giachetti.
Viene avanti sorridendo, fresco, di buonissimo umore: fisicamente, plasticamente assai distante dai miasmi del suo partito.
Appoggia le spalle al muro (attacca lui).
«Sa cosa dovete farci con i sondaggi?».
Cosa?
«Buttarli nel cestino. Perché se davvero, come sembra, Berlusconi molla Bertolaso e porta FI sulla Meloni, allora la partita diventa a tre: tra me, Giorgia e la Raggi. La scena cambia radicalmente: e con alcune variabili che possono risultare decisive».
Le spieghi.
«Primo: con uno scenario così, i voti moderati di Marchini che fine faranno? Secondo: tutti gli osservatori sono concordi nel dire che la Raggi ha raggiunto il suo picco. Mentre per me, adesso, inizia la campagna elettorale di tutti i candidati delle sette liste che mi sostengono: può essere un impulso forte, no?».
Ragionamento condivisibile: anche se restando ai sondaggi attuali…
«Bah! Quello attribuito alla Ghisleri, che mi dava addirittura terzo, è stato smentito dalla Ghisleri stessa. La forbice vera, fra me e la Raggi, è tra il 2% e il 3%. Ma lei lo sa come funziona con i sondaggi, no?».
Non ci prendono sempre.
«Sono più le volte che sbagliano. Bersani avrebbe dovuto stravincere le elezioni, ma poi finì in un pareggione con FI e M5S. Alle Europee era annunciato il sorpasso del M5S, e invece il Pd ottenne la vittoria più netta degli ultimi anni…».
Il suo vero problema, comunque, non sono i sondaggi.
«Ah no?».
No.
«E qual è?».
È il Pd. Lo sa anche lei.
«Ho scalato la montagna. Quando sono partito ero al 15%, adesso sono al 26%. Faccio iniziative, incontro cittadini: le cicatrici provocate da Mafia Capitale ancora sanguinano, Marino ha lasciato una città stravolta… il Pd, sì, ha purtroppo un’immagine opaca. La gente, all’inizio, mi guardava e mi chiedeva: perché te dovrei da’ er voto?».
E lei?
«Ho risposto a tutti così: vi chiedo il voto perché mi chiamo Roberto Giachetti e sono pulito, ho una storia politica pulita, sono romano, conosco Roma, la amo, e in più ho già lavorato in Campidoglio ai tempi di Rutelli e voglio portare novità vere».
Anche la Raggi e la Meloni dicono, più o meno, le stesse cose.
«Sì, ma io ho fatto già due cose concrete: ho promesso che due settimane prima del voto annuncerò la mia squadra di assessori, fregandomene di tutti i possibili giochini di potere del partito… E tra due ore andrò alla commissione Antimafia e consegnerò a Rosy Bindi le mie liste: gesto che, se permette, definirei storico».
Il punto è che la lista del Pd non è ancora pronta.
Il Pd, a Roma, è un partito incattivito, capriccioso, confuso.
Giachetti corre i cento metri con uno zaino pieno di sassi sulle spalle.
Va a presentare la sua lista personale e dentro ci sono anche lo scrittore Marco Lodoli e la campionessa di nuoto Alessia Filippi. In quella del Pd, ancora nell’ultima ora, gente che entra, esce, rientra.
Poi fa buio e arriva l’annuncio di Matteo Orfini su Facebook.
Eccola.
La capolista è Piera Levi Montalcini, nipote di Rita (ex consigliera comunale a Torino), poi c’è l’ex deputata Paola Concia (che cercava, da tempo, di rientrare in politica). Gli altri candidati nemmeno a elencarli, vi direbbero poco.