Corriere 21.4.16
Una sentenza «legale» che però fa rabbrividire
di Luigi Offeddu
Il
giorno della condanna a 21 anni di reclusione, nel 2012, qualcuno fra i
genitori delle 77 vittime disse che quella era la sentenza più
«giusta», cioè la più severa che potesse essere comminata in Norvegia a
un colpevole di quel reato. E tecnicamente, era così. Ed era ed è
legale, per il codice norvegese, il fatto che Anders Breivik stia in un
trilocale con palestra; però non l’altro fatto, lo «stretto isolamento»
che lo Stato gli risarcisce ora con circa 35 mila euro, equiparando il
tutto a una «detenzione inumana». I giudici hanno applicato le leggi di
Oslo insieme con la loro interpretazione della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo. Tutto in regola, formalmente. Formalmente: nella
cornice giuridica norvegese, la sentenza di ieri non fa una piega. Come
quella del 2012. Eppure entrambe, se viste da altri angoli dell’Europa,
suscitano incredulità, anche indignazione: appaiono legali e tuttavia
ingiuste, non le si potrà cassare ma rabbrividire si può. Ventun anni è
in Norvegia la pena massima per quel reato? Sì, ma 21 anni equivalgono a
252 mesi, e 252 mesi diviso per 77 vittime dà come risultato 3,2: una
pena di circa 3 mesi comminata per ogni omicidio, commesso da un uomo
che disse in aula «chiedo perdono per non averne potuto ammazzare di
più». Ovviamente, questo calcolo matematico non ha significato in
termini giuridici: ma può averlo per la sensibilità di qualcuno. E
ancora: è causa di grave stress non poter studiare Scienze politiche in
reclusione? Breivik aveva iniziato, poi ha smesso perché il trattamento
detentivo gli toglieva la tranquillità. Magari, in Norvegia, era ed è
una protesta giustificata. Ma «questo» detenuto, che in tribunale fa il
saluto nazista e dichiara «è l’ideologia nazista a tenermi vivo in
isolamento», cerca nelle Scienze politiche lo studio di quel pensiero,
ispiratore della strage: non per lui, ma per la società, forse sarebbe
stato uno stress eccessivo se avesse potuto studiarlo in pace.