Corriere 1.4.16
Una decisione che non aveva alternative
di Antonio Polito
Non
potendo smentire la telefonata intercettata, in cui garantisce al
convivente che sta per passare un emendamento a suo favore nella legge
di Stabilità, Federica Guidi non aveva alternative: doveva lasciare. È
infatti venuta meno innanzitutto a un dovere di riservatezza, fornendo
informazioni privilegiate: già questa una leggerezza molto grave. Ma
soprattutto ha usato il suo potere di pubblico ufficiale quantomeno
sapendo di favorire il fidanzato.
A sua volta il convivente è
accusato di aver utilizzato quell’aiuto per farsi dare un appalto da
Total. Più conflitto di interessi di così, è difficile immaginarlo. E
questo indipendentemente dall’esito dell’inchiesta giudiziaria della
Procura di Potenza, della quale vedremo la robustezza. I pm hanno
infatti ipotizzato per Gianluca Gemelli, l’imprenditore convivente del
ministro Guidi, il reato di «traffico di influenze illecito», una norma
recentemente importata nel nostro diritto dalla controversa legge
Severino del 2012.
Se si aggiunge che l’affare in questione
riguarda lo stoccaggio a Taranto del petrolio estratto in Basilicata a
Tempa Rossa, progetto da tempo contestato dagli ambientalisti e dal
Comune, che si rivolse anche al Tar per bloccarlo (perdendo), si capisce
l’estrema delicatezza politica del caso. Tra l’altro esploso nel clima
già rovente del referendum sulle trivelle, che sempre di estrazione di
petrolio tratta, seppure in mare. La vicenda è insomma un brutto colpo
all’immagine del governo.
L’opposizione sta già cavalcando il caso
Guidi per lanciare un attacco diretto a Renzi, accusato di essere a
capo di un «governo d’affari». E il progetto Tempa Rossa viene accostato
a Banca Etruria come esempio di questo presunto «affarismo». Pesa il
fatto che nella telefonata Federica Guidi dice al suo fidanzato che
l’emendamento passerà se anche il ministro Boschi sarà d’accordo. E
l’emendamento è passato. Di qui la richiesta, politicamente molto più
insidiosa, che si dimetta anche Maria Elena Boschi. Bisogna però dire
che quest’ultima è la titolare dei Rapporti con il Parlamento e tutti
sanno che, soprattutto quando si tratta della legge di Stabilità,
qualsiasi norma entri nel maxi-emendamento su cui il governo mette la
fiducia non può passare senza essere autorizzato prima da quel ministro.
In più lo stesso Renzi, qualche mese prima a Taranto, aveva
pubblicamente sostenuto il progetto per i suoi effetti positivi
sull’occupazione. Per dimostrare una responsabilità personale della
Boschi, bisognerebbe dunque dimostrare che era consapevole
dell’interesse al provvedimento da parte del fidanzato della sua
collega. Cosa possibile, ovviamente, ma tutta da provare. Nel caso di
Federica Guidi questa consapevolezza è invece fuori discussione. Renzi
non ha dunque potuto avere esitazioni. Se è caduto Lupi, la cui vicenda
era molto meno grave, doveva cadere anche Guidi. E se non cadeva subito
Guidi, diventava più difficile difendere Boschi.
Fin dalla sua
nomina nel governo, del resto, la ministra dello Sviluppo economico era
stata inseguita dal sospetto del conflitto di interessi, a causa del
fatto che è lei stessa un’imprenditrice, figlia di uno dei più
importanti imprenditori italiani, Guidalberto. Alla fine è stato il
conflitto di interessi del compagno, invece che il suo, a perderla.