Corriere 17.4.16
In Libia e sulla diga di Mosul, due incognite per l’italia
di Lorenzo Cremonesi
Due
incognite minacciano le grandi scelte della politica estera italiana
dell’ultimo periodo in Libia e Iraq. La gravità degli scenari è
inquietante per il fatto che diversi elementi sono fuori controllo e ciò
fragilizza qualsiasi politica dell’intervento. In Libia abbiamo optato
per sostenere il premier designato dall’Onu Fayez al Sarraj. Il suo
arrivo a Tripoli è sembrato in effetti per un attimo offrire un appiglio
di speranza e stabilizzazione.
Ma ora le debolezze di Sarraj e il
suo gabinetto di «unità nazionale» sono sempre più evidenti. Il governo
di Tripoli condotto da Khalifa Ghwell oppone una dura resistenza contro
quelli che chiama «gli intrusi protetti dall’estero». Ghwell è tornato
alla sua città natale di Misurata per riportare alla sua causa quelle
stesse milizie che si erano poste al servizio di Sarraj. Il sostegno
politico e militare per il nuovo aspirante premier viene così minato
dall’interno. A ciò si aggiunge l’ostentata indifferenza, se non aperta
ostilità, mostrata dal governo di Tobruk e il suo potente ministro della
Difesa Khalifa Haftar nei confronti di Sarraj. La crisi scoppiata tra
Roma e Il Cairo con il caso Regeni non può che complicare la situazione.
L’Egitto potrebbe persino volutamente osteggiare Sarraj per boicottare
la politica italiana nella regione.
Come se ciò non bastasse,
nelle prossime settimane i nostri soldati in Iraq dovrebbero arrivare
alla diga di Mosul per mettere in sicurezza le società italiane
impegnate nei lavori di consolidamento. Ma tra Baghdad e le autorità
nell’enclave curda del nord si sta aggravando il braccio di ferro. Il
governo centrale farà di tutto per bloccare le crescenti spinte
indipendentistiche curde e la diga si trova proprio nel mezzo delle
regioni contese. Gli italiani potrebbero scoprire presto che questo
problema, con tutte le implicazioni politiche e militari, è in effetti
più grave che non addirittura il pericolo costituito da Isis.