Corriere 17.4.16
I profughi siriani e la scelta di Merkel
di Danilo Taino Statistics editor
I
numeri che segnano la crisi dei rifugiati siriani sono conosciuti e
chiari. Ma spesso poco considerati. Tenerli presente, ad esempio nel
caso del comico tedesco Jan Böhmermann che andrà sotto processo a
Magonza per avere offeso il presidente turco Erdogan, può aiutare a
vedere il mondo meno in bianco e nero. Secondo il rapporto dell’11
aprile scorso dell’Unhcr (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati), i
profughi fuggiti dalla Siria e rimasti nella regione circostante sono
4.837.208. Di questi, 1.055.984 sono in Libano, 638.633 in Giordania,
246.123 in Iraq, 119.301 in Egitto, 28.027 nel resto dell’Africa del
Nord. In Turchia sono 2.749.140. Si è passati da un totale regionale di
497.965 rifugiati il 31 dicembre 2012 agli attuali quasi cinque milioni.
Di questi, 489.538, il 10% del totale, vivono in campi, per lo più in
Turchia. Le richieste di asilo in Europa da parte di profughi siriani
sono passate da 2.085 nel mese di dicembre 2012 a 36.383 nel mese di
febbraio 2016, prima che fosse firmato l’accordo tra Ue e Turchia per
fermare l’esodo verso la Grecia. Viste le divisioni interne alla Ue
sull’applicazione del diritto di asilo — a parte Italia e Germania quasi
tutti se la sono data a gambe —, la domanda è cosa succederebbe se
questa massa si muovesse verso l’Europa. Probabilmente non salterebbe
solo l’accordo di Schengen ma l’intera costruzione politica della Ue.
Non ci sono dubbi sul fatto che Angela Merkel ragioni innanzitutto in
questi termini. C’è però la questione di Erdogan, autoritario,
repressivo con gli oppositori e con le donne. Si può fare un accordo con
un regime a cui Freedom House assegna 24 punti su 40 per i diritti
politici, 29 su 60 per le libertà civili, 6 su 16 per il rispetto della
legge da parte dello Stato? E che, per di più, chiede che un attore
tedesco che l’ha offeso sia giudicato da un tribunale? Eccesso di
realismo cedere, come ha fatto Merkel, alla sua richiesta, per non
rischiare di creare difficoltà all’accordo sui profughi con la Turchia? È
che a Berlino è maturata la convinzione che il soft-power su cui
l’Europa per anni ha fondato se stessa non basti più. Quando ai confini
ci sono i cosiddetti uomini forti, occorre tornare a calcolare i
rapporti di forza. E scegliere. Come un tempo dicevano gli americani
politicamente scorretti, «è un bastardo, ma è il nostro bastardo».
Raramente la difesa di libertà e valori è una linea retta.