Corriere 16.4.16
Ascesa e declino di Dilma ex guerrigliera al capolinea
di Franco Venturini
Sopravvissuta
da ragazza agli arresti e alle torture della dittatura militare, Dilma
Rousseff rischia di soccombere domani al marchio d’infamia di un
Parlamento democratico. Ora che la Corte suprema ha rigettato l’ultimo
ricorso, la procedura di impeachment della presidente del Brasile parte
con i favori del pronostico nel voto domenicale della Camera bassa. E
sarà poi il Senato a sottoporre Dilma all’ultimo e decisivo giudizio.
Questo se l’ex guerrigliera diventata capo di Stato terrà fede a se
stessa e manterrà la sua promessa di lottare fino all’ultimo,
respingendo la tentazione di scegliere le dimissioni.
Dilma
Rousseff non è innocente. Le accuse secondo cui avrebbe «aggiustato» il
bilancio dello Stato per favorire la sua rielezione nel 2014 non sono
mai state provate ma hanno qualche verosimiglianza. Certa invece è la
sua ostruzione alla giustizia il mese scorso, quando nominò ministro
l’ex presidente Lula da Silva per sottrarlo alle indagini e a un
possibile arresto. Oltretutto facendosi intercettare dalla polizia
mentre spiegava al suo mentore l’utilità giudiziaria della mossa .
No,
Dilma Rousseff non è innocente. Ma quanto innocenti sono i suoi
giudici? Quanto credibile è una magistratura divisa e apertamente
schierata nella battaglia politica? Quanto rispettabile è un Parlamento
ad altissimo tasso di corruzione, e dove i presidenti di Camera e
Senato, il cui ruolo è cruciale nelle votazioni, sono entrambi indagati?
Quanto edificante è l’abbandono della nave da parte dei partiti
centristi che con Dilma hanno governato a lungo, ma che in caso di
impeachment potrebbero succederle nella persona del fresco ex
vicepresidente Michel Temer?
La verità è che non c’è nessuno da
salvare, nel dramma politico che sta vivendo il Brasile mentre si
avvicina l’apertura, il 5 agosto, dei Giochi olimpici. L’intera classe
politica ha perso la sua legittimità partecipando a inauditi scandali di
corruzione. Il mondo del business che ora appoggia l’ascesa di Temer è
stato spesso all’origine di questi scandali. Lo Stato di diritto
somiglia, come è stato osservato, a quello della saga televisiva della
House of Cards . E i vecchi problemi, la mancanza di sicurezza, i casi
di corruzione nella polizia, il veleno che scende dalle favelas , sono
ancora tutti attuali. Con l’aggiunta di quella zanzara Zika che sembra
volersi accanire su chi è già allo stremo delle forze.
Come si è
ridotto così il Brasile, l’ex gigante addormentato che pareva essersi
svegliato, il protagonista tra i Brics, la patria dell’eterno ottimismo
di chi proclamava che «Deus è brasileiro»? A voler essere schematici la
spiegazione esiste, e benché la corruzione avesse rotto gli argini da
ben prima la fase che è premessa di quanto accade oggi, comincia nel
2003 con l’elezione alla presidenza del leader della sinistra Lula da
Silva.
Lula trova una congiuntura favorevole e la cavalca. Strappa
alla povertà venticinque milioni di brasiliani, porta alle stelle la
spesa sociale ma se lo può permettere. È un socialdemocratico filo
occidentale. E quando lascia dopo il secondo mandato, nel 2010, la sua
popolarità è all’ottanta per cento. Sceglie lui chi deve succedergli:
Dilma, che naturalmente viene eletta. Ma ben presto il mondo cambia. Al
posto della crescita c’è la recessione. Il prezzo del petrolio crolla.
L’inflazione è alle stelle. Il consenso non c’è più. C’è invece lo
tsunami di una corruzione che si era andata accumulando quando con Lula
tutto andava bene, e che esplode ora che tutto va male. Una gigantesca
rete di connivenze miliardarie avvolge il colosso energetico statale
Petrobras. Da lì partono infine derivazioni, la pentola del demonio è
ormai scoperchiata. E non basta silurare ministri (cosa che Dilma fa più
di tutti) o annunciare cambi di rotta.
Semmai, nel disastro
generale economico ed etico la speranza nel futuro viene tenuta in vita
dal protagonista più giusto: il popolo, i brasiliani. Certo, alcune
dimostrazioni oceaniche vogliono la destituzione di Dilma e altre la
respingono. Ma la maggioranza non ne può più della politica e delle
manette. Protesta contro tutti «loro». Vuole un cambiamento radicale
senza etichette di parte. Populismo? Sì, ma il populismo può essere
anche una speranza quando la provocazione ha superato ogni limite. La
classe media e i giovani occuperanno sempre di più la prima linea della
riscossa. Che dovrà passare, superando gli ostacoli istituzionali,
dall’anticipo delle elezioni politiche generali previste per il 2018.
Negli
anni Sessanta il Brasile ebbe un presidente, Janio Quadros, rimasto
celebre perché il suo simbolo era una scopa. Mezzo secolo dopo ci
risiamo, e questa volta bisognerà usarla .