sabato 16 aprile 2016

Repubblica 16.4.16
Nella tendopoli dei fan di Dilma “No all’impeachment, è un golpe”
Il Tribunale supremo respinge il ricorso del governo, adesso l’opposizione si dice certa di ottenere domani lo stato d’accusa per la presidente. Le due piazze si fronteggiano e per il paese inizia il giorno più lungo
di Omero Ciai

In parlamento i nemici della Rousseff dovrebbero superare il quorum necessario: ma lei promette di dare battaglia A sostituirla è pronto il suo vice Temer, ma l’incubo è che a causa degli scandali si entri in una crisi politica senza fine

BRASILIA. Questo giorno, con l’inizio della sessione del Parlamento brasiliano sull’impeachment di Dilma Rousseff, doveva arrivare. Ma nessuno s’immaginava che fosse così carico di presagi ostili al futuro politico della presidente. L’ultimo colpo è stato, l’altra notte, la decisione del Tribunale Supremo. Con una maggioranza quasi bulgara, otto a due, i magistrati della più alta istanza legale del Brasile, convocati d’urgenza e in diretta tv, hanno bocciato il ricorso che pretendeva di sospendere il voto dei deputati sulla richiesta di destituzione. Un gesto disperato, quello dell’avvocato del governo José Eduardo Cardozo, che ha avuto l’effetto di un boomerang. Abbandonata dal Supremo, Dilma ha soltanto visto crescere i suoi nemici, e già ieri mattina sembrava evidente che i deputati all’opposizione, con il nastro verdeoro della bandiera nazionale attorno al collo, avevano raggiunto e superato il quorum necessario all’avvio dell’impeachment che la Camera voterà domani. L’ex presidente Lula, sceso in campo al fianco dalla sua erede con tutto il carisma che gli resta, è da giorni blindato in un hotel di Brasilia, il Royal Tulip, a poche centinaia di metri dalla residenza presidenziale, il palazzo dell’Alvorada sul lago Paranoà, e riceve politici fedeli e politici indecisi ma non è riuscito a invertire il trend negativo di un governo sempre più frantumato, né di un partito, il suo, sempre più isolato. Così, ieri mattina presto, scendendo dalle amache o uscendo dalle tende, nell’accampamento a lato dello stadio di calcio “Mané Garrincha”, anche le centinaia di fan di Dilma arrivati da tutto il Paese per sostenerla in questo scontro finale, temevano la disfatta. Sugli striscioni, le parole d’ordine sono «L’impeachment è un golpe» e «Difendiamo la democrazia», ma l’aria del campo è mesta come se il voto notturno del Tribunale Supremo avesse pronunciato già l’ultima sentenza.
Dilma resiste e resisterà. Ieri sera, quando in Italia era già notte, ha pronunciato un ultimo discorso al Paese a reti unificate. L’obiettivo è quello di rendere la vita più difficile possibile a chi le succederà nei sei mesi in cui, per legge, il Congresso esaminerà i suoi presunti delitti prima della destituzione definitiva o del suo ritorno. Dopo il voto domani della Camera, bisognerà attendere anche quello del Senato, previsto ora intorno al 10 maggio, per l’effettiva sospensione di Dilma e l’assunzione di Michel Temer, il suo vice che ormai appartiene a un partito, il Pmdb (Movimento democratico brasiliano), che le ha voltato le spalle. Ma il vero rischio è che il Brasile entri in una spirale politica simile a quella dell’Argentina post-default 2001 con una girandola di presidenti in pochissimo tempo. Lo stesso Temer infatti rischia l’impeachment perché coinvolto nello stesso reato, il maquillage del bilancio statale (qui si chiama “pedalada”), per il quale potrebbe cadere Dilma. E, dopo di lui, lo rischia anche Eduardo Cunha, il presidente del Parlamento, terzo nella linea costituzionale di successione alla presidenza, indagato per numerosi conti correnti segreti in Svizzera e nei paradisi fiscali. Una prospettiva da incubo, che a Brasilia nessuno si sente di escludere. Anche perché Dilma in realtà non viene travolta soltanto dai suoi errori ma dal clima indemoniato di un Paese in tumulto per la recessione - sarà il meno 3,6% del Pil quest’anno secondo l’Fmi - e gli scandali di corruzione. Scandali che hanno colpito molti esponenti del partito di Dilma ma mai lei. E dai quali non sono affatto estranei importanti esponenti dell’opposizione.
Così l’idea che domani con il possibile avvio dell’impeachment a Dilma la crisi brasiliana si chiuda è solo un miraggio. In realtà inizia. Anche perché il governo che arriverà dovrà varare un piano economico che già s’annuncia d’emergenza, e contro il quale, gli sconfitti di oggi potrebbero avere facile gioco in una battaglia che si sposterà nelle piazze e sui luoghi di lavoro. Se l’opposizione vince alla Camera e poi al Senato, Dilma potrà continuare a risiedere nel palazzo dell’Alvorada, ma non potrà più andare a quello di Planalto, sede del governo, che sarà riservato a Temer. Nelle ultime settimane la sua vita quotidiana è già cambiata. Prima, era facile vederla, poco dopo l’alba, correre in bicicletta lungo il lago con casco e giacca a vento nera. Ora, al massimo, corre a piedi, circondata da guardie del corpo, senza mai uscire dai giardini del palazzo residenziale. Ha rinunciato anche ai viaggi. A marzo ha cancellato quello a Washington per il vertice sulla sicurezza nucleare. Poi quello previsto in Grecia per l’accensione della fiaccola olimpica e, infine quello a New York, il prossimo 22 aprile, per la firma dell’accordo mondiale sul cambiamento climatico. Se perde domani il suo stipendio di 8.800 dollari al mese verrà anche tagliato della metà, ma probabilmente sarà l’ultimo dei suoi problemi.