Corriere 15.4.16
Noi puniti dall’ambizione di un festival cosmopolita.
di Paolo Mereghetti
Presentando
il programma, il «delegato generale» Thierry Fremaux l’ha detto
esplicitamente: Cannes non è un festival francese ma «un festival
mondiale», risposta nemmeno tanto in codice alla maggior parte della
stampa transalpina che aveva criticato le scelte troppo scioviniste (e
troppo poco cinefile) del passato festival. Quest’anno il concorso
sembra più equilibrato, più aperto alle novità, più cosmopolita. Con la
Cina ne ha fatto le spese l’Italia, esclusa dalla competizione, e a chi
gliene ha chiesto spiegazione dopo la tripletta dell’anno scorso,
Fremaux ha risposto che «non tutte le stagioni sono uguali». L’orgoglio
nazionale dovrà accontentarsi di Stefano Mordini e del suo Pericle il
nero , dal romanzo di Ferrandino, presentato in Un Certain Regard, e di
Davide Del Degan, coautore con il greco Thanos Anastopoulos di L’ultima
spiaggia (nelle Séances spéciales), documentario su una spiaggia vicino a
Trieste dove un muro di tre metri separa gli uomini dalle donne.
Aspettando naturalmente i programmi della Quinzaine e della Semaine de
la Critique per i quali si fanno i nomi di Virzì, Giovannesi e Comodin.
Del resto del programma colpisce accanto ai «soliti» nomi che Cannes si
coccola — Almodóvar, Ken Loach, i Dardenne, il Woody Allen d’apertura
con Café Society – la presenza di Paesi in passato poco frequentati,
come il Brasile (con Acquarius di Filho Mendoça) e la Germania (con una
delle due donne selezionate, Maren Ade), una doppia presenza rumena
(Mungiu, già Palma d’oro, e Puiu), una rappresentanza USA non scontata
(Sean Penn, Jeff Nichols e Jim Jarmush) e un quartetto di titoli
francesi che dopo le polemiche dell’anno scorso dovrebbero riportare in
auge la celebrata «cinefilia francese»: Olivier Assayas, Bruno Dumont,
Nicole Garcia (l’altra donna in gara) e Alain Guiraudie.