Corriere 14.4.16
La rappresentanza perduta degli interessi collettivi
Un
vuoto riempito Il mondo della mediazione sociopolitica è stato
smantellato. Al posto dei marginalizzati enti intermedi prendono spazio i
più svariati operatori di un lobbismo ormai sempre più strisciante e
particolaristico
di Giuseppe De Rita
comincia a
farsi strada il sospetto che non abbia giovato molto alla politica e al
sistema la grande e reclamizzata epopea della disintermediazione. In
nome del primato della rapidità decisionale abbiamo avuto, da Monti in
poi, anni in cui si è molto lavorato allo smantellamento del mondo della
mediazione sociopolitica e degli enti che per tradizione ne sono stati
protagonisti. Così, attraverso una volontaria giubilazione dei partiti,
dei sindacati, delle organizzazioni imprenditoriali e professionali,
nonché degli enti locali sovracomunali (province, camere di commercio,
comunità montane, ecc.) si è voluto creare un deserto della
rappresentanza intermedia, nella convinzione che ciò potesse liberare la
intenzionalità del governo e favorire insieme il rilancio delle
molecole imprenditoriali del sistema.
Non mette conto di
rinfacciare il tono, spesso truce, con cui tale operazione è stata
condotta: si pensi ad alcune coatte campagne giornalistiche contro le
Province, capaci di coinvolgere addirittura gli uffici della Bce; e si
pensi alla cinica delegittimazione degli stessi strumenti concettuali
delle mediazioni (la coesione sociale, la concertazione, la
contrattazione nazionale). Non ci siamo fatti mancare nulla
sull’argomento, e alla fine fra potere di vertice e base si è creato il
vuoto.
Non ci si è resi forse conto che quando c’è un vuoto,
qualcuno lo va a riempire. E così sta avvenendo: al posto dei
marginalizzati enti intermedi prendono spazio i più svariati operatori
di un lobbismo sempre più strisciante e particolaristico, incapace di
ragionare in termini di interessi generali. Nasce così un’altra epopea:
quella dell’emendamento finalizzato, specifico, mirato; portato avanti
da personaggi legittimati (si fa per dire) solo dalle loro effervescenti
relazioni amicali, parapolitiche, finanziarie, magari sentimentali. Con
un effetto del tutto stravagante: i politici, che hanno voluto la
disintermediazione, si trovano circondati, premuti, circuiti, qualche
volta addirittura ricattati, da gruppetti (da «quartierini») di un
avventuroso lobbismo. E il loro primato decisionale si dissolve nel mare
del traffico delle influenze, degli incontri, delle cene, delle
telefonate, delle intercettazioni, del gossip, qualche volta delle
inchieste giudiziarie. La epopea della disintermediazione avrebbe
meritato un più elegante destino.
Ma se questa epopea declina,
come sembra cominciare a declinare, cosa succede a livello dei corpi
intermedi, almeno di quelli che in qualche modo non si sono dati per del
tutto rottamati? In proposito si intravede una lenta rimessa in moto:
qualche antico ceppo di rappresentanza sembra propenso ad intraprendere
una lunga marcia di riaffermazione del proprio impegno organizzato e
serio a rappresentare interessi collettivi; sono le organizzazioni che,
in silenzio, si sono dannate di fatica per salvaguardare le proprie
appartenenze, cioè i propri iscritti e le loro nuove istanze: la
rappresentanza anche unitaria delle piccole e medie imprese; il
sindacato confederale; alcuni consigli professionali; ed anche le stesse
domate Province, che tornano a difendere gli interessi territoriali non
coperti dalle responsabilità regionali o dalle ambizioni extraurbane
delle città metropolitane. Non si tratta, come potrebbe apparire, di un
passo indietro. È piuttosto l’avvio silenzioso di un processo di nuova
vitalità di alcuni soggetti intermedi; per ora è tutta in maturazione
interna, ma sarà interessante vedere se essa avrà anche nei tempi medi
un esito esterno, politicamente significativo .