martedì 15 marzo 2016

Repubblica Salute 15.3.16
Corrado Barbui, professore di psichiatria a Verona
Dobbiamo sedarli ma a curarli è solo la parola
Mettere il malato in grado di avere relazioni con altri
Le medicine sono utili. Perché permettono di entrare in contatto con la persona e riabilitarla
di F. S.

I FARMACI PER le malattie psichiatriche non sono curativi. Ma questo non vuol dire che siano inutili: parola di Corrado Barbui, medico, professore di psichiatria a Verona, uno dei più riconosciuti esperti di psicofarmacologia clinica in Italia. Che spiega: «Gli antipsicotici servono a diminuire i sintomi. E non è una cosa irrilevante quando questi sono allucinazioni aggressive o persecutorie come possono diventare le voci, o deliri che sottraggono dalla realtà». Il trattamento farmacologico, riducendo o eliminando i sintomi, consente di lavorare su altri ambiti. «Di ingaggiare col paziente – aggiunge lo specialista – una relazione che può avere, quella sì, risultati terapeutici importanti».
È qui la chiave: gli psicofarmaci non possono viaggiare da soli. «Sono solo la tappa di un percorso», insiste Barbui, sono solo l’apertura di uno spazio che poi va abitato concretamente: con la terapia, con l’ascolto, con l’aiuto a rafforzare le proprie reti sociali, con quella vera parte di psichiatria territoriale che è un impegno costante a eliminare le barriere fra il disagio e la comunità. «La psichiatria dovrebbe avere la capacità di rispondere agli obiettivi del paziente », riflette Barbui. Ovvero dovrebbe mettere il malato in condizione di relazionarsi con gli altri, lavorare, stare bene. Se si riesce a togliere la pillola è un successo. «Perché la cura non è il farmaco. È il servizio», riassume.
Cosa di cui, per fortuna, sono ancora convinti moltissimi psichiatri italiani, formati nella cultura basagliana. Ma le spinte opposte non mancano, e il quadro sta cambiando. «Servirebbero più équipe professionali miste», come segnala anche l’Ocse. Avere dati nazionali sul buon uso – nel senso quindi dell’apertura, e non dello stordimento di un’identità – degli antipsicotici, poi, è impossibile. Di sicuro c’è solo che le prescrizioni aumentano, perché, annota lo psichiatra, «aumentano i farmaci in commercio».
Il mercato dei farmaci psichiatrici, infatti, va a gonfie vele e si aggiungono sempre nuove molecole che non sostituiscono le vecchie, ma si aggiungono. «Questa molteplicità di strumenti amplia sempre più la popolazione di pazienti ai quali si propone il trattamento», aggiunge Barbui. Accade soprattutto con gli antidepressivi. Ogni giorno 40 italiani ogni mille ne consumano una dose. In aumento costante da anni, prescritti spesso dal medico di famiglia, e spesso con troppa leggerezza. Soprattutto se si parla di giovani. «La vera nuova emergenza – denuncia infatti Barbui – sono i ragazzi che soffrono di instabilità affettiva. Iniziano magari con una pillola per un lieve disturbo di personalità, poi un antidepressivo consigliato dal medico, quindi un antipsicotico, poi le benzodiazepine. E a 30 anni hanno già una storia di usi e mal-usi di pillole». Che rischia di chiuderli a lungo nella malattia. Anziché aiutarli ad uscire.