Repubblica Cult 13.3.16
Boccioni
L’uomo della velocità che volò via 100 anni fa
di Achille Bonito Oliva
«Tutto
sparisce, sempre più in fretta nel retrovisore della memoria. Difficile
mantenere viva l’ammirazione, il fulgido lampo della sorpresa,
difficile conservare le cose alla loro pregnanza. Esse non durano mai
più a lungo del tempo del loro accadere. L’eventualità stessa
dell’Eterno Ritorno si fa precaria». La citazione di Braudillard sembra
il sigillo della mostra Umberto Boccioni. Genio e Memoria che celebra il
centenario della morte del grande artista futurista (1882-1916).
L’esposizione, che si apre il 23 marzo al Palazzo Reale di Milano,
raccoglie 250 opere tra disegni, dipinti, sculture, incisioni, foto
d’epoca, libri, riviste e documenti (a cura di Francesca Rossi e
Agostino Contò, fino al 10 luglio, catalogo Electa).
Sicuramente
tra tutte le Avanguardie, il Futurismo è stato il movimento più nervoso
del Novecento, un secolo nervoso per eccellenza. Si evince dal primo
Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti, pubblicato su Le Figaro, 20
febbraio 1909, che esplode come una violenta deflagrazione sullo sfondo
di un’Italia contadina e analfabeta, ancora assopita tra scampoli e
retaggi di una cultura tardo-romantica, ottocentesca. Velocità,
dinamismo, azione, modernità, il mito della macchina e del progresso,
insieme al disprezzo per la tradizione e l’accademismo, costituiscono i
nuovi valori dello Sturm und drang futurista. Accanto a Marinetti, deus
ex machina del movimento, compaiono Balla, Boccioni, Carrà, Severini,
Russolo, che attribuiscono al movimento, concepito originariamente come
letterario, una concreta fisionomia artistica.
La mostra si apre e
si chiude con l’Autoritratto (1907-1908) di Boccioni che sembra
sorvegliare l’intero percorso espositivo che si sviluppa in ordine
cronologico e per nuclei tematici. Esplicite sono le fasi di formazione
dell’artista, nei riferimenti al divisionismo, simbolismo e
espressionismo, attenzione al Rinascimento e al barocco, tutte radici
dell’arte contemporanea. I disegni preparatori e i documenti esposti
confermano la grande attenzione del giovane pittore per l’opera di
Dürer, Balla, Segantini, Previati e Fornara. Nel tentativo di agguantare
la vita e di trasformarla attraverso l’arte anche l’opera di Boccioni
si fa sempre più tesa, “caffeina d’Europa”, sprizza insonnia, impa-
zienza, irruenza, vitalismo, superomismo e conflittualità ( La città che
sale, 1910-1911). E’ una profonda rivoluzione linguistica, come
riconosce lo stesso Antonio Gramsci in Ordine nuovo del 5 giungo 1921:
«I Futuristi nel loro campo, nel campo della cultura, sono
rivoluzionari».
Tutta l’opera di Boccioni vive sotto il sigillo
della sua personalità tesa sempre ad un conflitto erotico col mondo, e a
produrre una comunicazione fluida fomentata dall’irruzione del tempo
nelle arti del XX secolo, un tempo sempre più accelerato dallo sviluppo
tecnologico. Per questo egli usa la strategia del superficialismo, la
scorrevolezza assertiva dell’immagine, il desiderio di un immediato
impatto della produzione con lo spirito del tempo. Per lui essere
moderno significa portare l’immagine a una splendente evidenza,
sottrarla al monopolio del puro sguardo bloccato dall’ammirazione e
destinarla invece all’attenzione e disattenzione di un pubblico in
movimento che vuole tenere tutto sotto il dominio del presente. Il
dominio dell’istante è l’ossessione di Boccioni, l’eliminazione del
principio di nostalgia, possibile soltanto se il passato viene sottratto
dalla sua condizione di reperto archeologico. La superficie è il luogo
dove il passato e il presente diventano flagranza dell’istante, luogo di
incontro e di inevitabile consumo di una sensibilità attuale e
collettiva ( Rissa in galleria, 1910).
Naturalmente dietro tale
visione cova l’invito nietzscheano a essere profondi a colpi di
superficie, ad essere scorrevoli e senza sosta sulla orizzontalità del
mondo. Da qui è possibile migliorare le performance di velocità,
simultaneità, dinamismo, sconfinamento e contaminazione tra i diversi
linguaggi. Il superamento di ogni modica quantità, l’amore per il
pericolo e l’azzardo, l’apologia della macchina e dell’industria, il
desiderio di sconfinamento dalla cornice per intercettare il rumore
della vita portano Boccioni ad aprirsi alla scultura ( Forme uniche
della continuità nello spazio, 1913). Segnalazione di una modernissima
ansietà di comunicazione: oltrepassare il recinto del linguaggio e
bucare l’immaginario collettivo di una società di massa allertata dalla
tensione delle nuove forme. È facile fare i conti con le avanguardie
storiche. Insonnia futurista contro sogno surrealista, vitalismo contro
platonismo dell’astrazione, esplosione contro scomposizione cubista,
nichilismo attivo contro anarchia dadaista. Attraverso una comunicazione
liquida del linguaggio, Boccioni vuole creare una democrazia avvolgente
del movimento eccellente dell’arte, uno spazio fluido della
contemplazione attiva di uno spettatore massaggiato nella sua
polisensorialità, oltre i nostri cinque sensi tradizionali.Parafrasando
il romantico Victor Hugo: il desiderio di una visibilità oltre, appunto,
l’orizzonte.