Repubblica Cult 13.3.16
L’archivio di immagini di un futurista a caccia del passato
di Armando Besio
Boccioni
prima di Boccioni. Il futurista in versione passatista. Il profeta
della “bellezza nuova” sedotto dalla grazia antica di Raffaello. L’uomo
che voleva «distruggere i musei» stregato dal Louvre e dalla Alte
Pinakothek. «Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra
sensibilità in un’urna funeraria». Ma era sensibilissimo al fascino di
Lotto e Van Dyck. «Non vogliamo più saperne del passato!». Ma prima di
ripudiarlo l’aveva studiato, e amato. Raccoglieva, ritagliava, incollava
su grandi fogli di carta da pacchi immaginette di opere d’arte di ogni
tempo. Curioso e felice come un bambino che colleziona figurine.
Enciclopedico e visionario quasi come Aby Warburg, il grande storico
dell’iconografia che impaginerà una vita di studi in Mnemosyne,
l’atlante di figure concepito per «documentare l’influenza dell’antico
sulla cultura europea».
L’Atlante della Memoria, una delle
sorprese della mostra di Milano, testimonia la profonda influenza
dell’antico sulla genesi del rivoluzionario linguaggio figurativo di
Boccioni. Comprende ventidue tavole, per un repertorio di oltre duecento
immagini. Furono donate nel 1955 dalla sorella dell’artista, Amelia,
alla Biblioteca civica di Verona. Le ha riscoperte, e studiate,
Francesca Rossi, conservatore del Civico Gabinetto dei Disegni del
Castello Sforzesco di Milano. Cartoline, ritagli di quotidiani e di
periodici ( Natura e Arte, The Yellow Book, Revue Illustrée,
Simplicissimus), prove di stampa scartate dalla redazione di Emporium e
recuperate per Boccioni dall’amico Gabriele Chiattone, capo sala dei
disegnatori e cromisti all’Istituto Italiano d’Arti Grafiche di Bergamo,
editore della rivista. Da Emporium arrivano per esempio le Giovani
donne dell’antica Grecia che giocano a palla di sir Frederic Leighton,
raffinato pittore della Royal Academy. Boccioni riporterà in campo
queste ragazze nei suoi studi sul movimento del corpo umano. Immagini di
quadri, sculture, arti applicate. Dall’antichità al primo Novecento.
Allineate senza didascalie. Scelte e accostate in base all’epoca, allo
stile, al soggetto, anche agli umori (la paura della morte). Raccontano
l’eclettico percorso di formazione di un artista autodidatta, diplomato
all’istituto tecnico, globetrotter dapprima per necessità, il lavoro del
padre, commesso di prefettura, soggetto a frequenti trasferimenti
(Reggio Calabria, dove nel 1882 nasce Umberto, Forlì, Genova, Padova,
Catania, Roma), poi per il piacere di viaggiare, conoscere il mondo,
ampliare il suo bagaglio visivo: da Parigi a Londra, da Vienna alla
Russia, a Varsavia, Monaco di Baviera, Venezia.
Una tavola è
dedicata a Dürer. «Immenso», scrive di lui Boccioni nei “Diari”,
rientrati per la prima volta in Italia dalla Getty Research Library di
Los Angeles. Del maestro tedesco del Rinascimento ammira specialmente le
incisioni. «L’impasto del segno che morde, contorce, sforma e corre,
corre verso l’ideale». Un segno che «afferra tutto, batte, inchioda,
taglia, grida, e poi si calma, accarezza, liscia, cesella, affina«.
Colleziona le sue stampe. Tre sono in mostra. Una, i Diecimila martiri,
era in casa sua. Si ispira a lui (il tratto ondulato) nel magnifico,
toccante disegno della Madre. La donna è uno dei soggetti prediletti.
Un’altra tavola allinea figure femminili. Ora tristi, come la dolente
scolpita in un monumento funebre da Vincenzo Vela. Ora mondane, come la
maliziosa francesina dipinta da Jacques-Emile Blanche, amico e
ritrattista di Proust. E ora delicatamente erotiche, come la bagnante
nuda dello svedese Zorn. La tavola dei ritratti vede insieme due quadri
del Cinquecento: il Massimiliano I d’Asburgo del leonardesco De Predis
guarda il San Sebastiano di Raffaello. Tra i bassorilievi, figurano un
Donatello padovano (la Pietà) e uno Sforza milanese, effigiato in
medaglia. Ma Boccioni studia e ammira anche artisti a lui più vicini.
Segantini sopra tutti, premiato con ben 19 riproduzioni, tra cui il
celebre Albero della vita (convocato in mostra dalla Gam di Milano). E
gli altri Divisionisti, da Previati a Fornara, scoperti nel 1907 alla
Biennale di Venezia e rivisitati poco dopo a Parigi. Il 1907 è anche
l’anno del suicidio di un caro amico, Pellizza da Volpedo, il pittore
del Quarto Stato. Boccioni è sconvolto. L’autoritratto di Pellizza
campeggia nella cupa tavola dell’Atlante consacrata alla riflessione
sulla morte (lui, che glorificava “la guerra, sola igiene del mondo”
morirà vicino al fronte, nel 1916, a 34 anni, a causa di una caduta da
cavallo). Accanto, un’altra scultura funeraria di Vela, La desolazione, e
una fotografia del Mar Morto.
La mostra riserva sorprese anche
tra i disegni. I sessanta custoditi al Castello Sforzesco, la raccolta
boccioniana più importante al mondo, sono affiancati da preziosi
prestiti. Spicca un inedito, lo studio per una testa di ragazza. È
Amelia, che ritroveremo dipinta nella Sorella al balcone. Importante
anche uno dei primissimi fogli della serie sul Dinamismo: creduto
disperso, è stato recuperato in una collezione privata. Boccioni corre
verso il quasi astrattismo cinetico della famosa scultura Forme uniche
della continuità nello spazio, una delle icone del Novecento. Ma non ha
perduto per strada le fonti antiche. Qui, una Danae che fugge. Colpito
dalla “energia e finitezza” di questi disegni, il giovane Longhi
paragonerà Boccioni a Michelangelo.