domenica 13 marzo 2016

Repubblica Cult 13.3.16
Ma io cosa avrei fatto?
Così i giovani storici si interrogano su Salò
di Simonetta Fiori

E alla fine si torna sempre lì, ai venti mesi della guerra civile che dilaniò il paese tra il 1943 e il 1945. Una ferita ancora aperta su cui continuano a interrogarsi le nuove generazioni di storici, come se quella stagione di scelte necessarie, di eroismo e di viltà, di coraggio e di scelleratezza, continuasse a interpellare non i figli ma i nipoti di coloro che ebbero la sciagura di viverla. Giovani studiosi che a differenza dei padri sono portati a domandarsi: ma noi? Cosa sarebbe stato di noi sotto la Repubblica Sociale Italiana? Avremmo resistito? Saremmo stati complici? O semplici spettatori? E’ da queste domande che parte l’indagine di Carlo Greppi, dottore di ricerca poco più che trentenne, nel nuovo libro appena consegnato alla Feltrinelli. Al centro del suo racconto è la cosiddetta “zona grigia”, una comunità di personaggi che converge a Torino nei mesi dell’occupazione nazifascista. Non i i carnefici, dunque, né le vittime. Tanto meno gli eroi. I protagonisti di questo saggio sono gente comune, i “non protagonisti”, figure sbiadite che tentarono in tutti i modi di schivare il peso della storia senza però riuscirci.
Uomini costretti a obbedire ai criminali, talvolta ciechi pur di sopravvivere. E in primo piano è la complessità dei loro comportamenti che include ribellione e compiacenza, opposizione e cedimento, generosità e inganno, soprattutto paura, il terrore che rende docili. Un’oscillazione costante, una gamma di sfumature emotive troppo ricca per poter essere racchiusa nello stigma del disprezzo: questo sembra dirci il giovane storico alla fine della sua ricerca condotta sui fascicoli processuali del dopoguerra. Il cambiamento di paradigma non comporta però la rinuncia a una bussola morale, nel solco tracciato da Primo Levi e Claudio Pavone. Uomini in grigio, Storie di gente comune nell’Italia della guerra civile, in libreria a metà aprile.
*** Restiamo in quel periodo ma con la lente protesa su altri protagonisti. Non più figure opache confuse nel grigiore, ma personaggi fin troppo nitidi nella loro ferocia. Può sorprendere che a settant’anni dalla guerra civile ancora manchi uno studio complessivo sulle fasciste di Salò, ossia quelle donne che inquadrate nelle Brigate Nere furono artefici di stragi, delitti efferati, pratiche di tortura contro civili e partigiani. Troppo sgradevole il tema, quasi intollerabile l’idea di un genio femminile del male. Eppure furono tante le donne della Repubblica Sociale escluse dall’amnistia perché responsabili delle azioni più violente. Il nuovo libro di Cecilia Nebola, ricercatrice presso l’Istituto italo- germanico di Trento, ricostruisce le storia di quaranta carnefici, per lo più intorno ai ventisette anni e di condizione sociale medio- bassa. Commesse. Cameriere. Parrucchiere. Levatrici. Infermiere. Dattilografe. Maestre elementari. Difficile entrare nelle loro teste, trovare la chiave che possa dare un senso. E’ interessante seguirle alla fine della guerra, quando gli organi di giustizia da una parte e le strategia difensiva dall’altra dovettero fare i conti con l’immagine della donna nella società dell’epoca. Fasciste di Salò. Una storia giudiziaria, da Laterza in aprile.