mercoledì 9 marzo 2016

Repubblica 9.3.16
D’Alema spinge Bray torna l’ipotesi scissione
Se il direttore della Treccani si candiderà a Roma fuori dal Pd l’ex premier lo voterà. Ma la minoranza lo gela: “Stiamo con Giachetti”
di Giovanna Casadio Goffredo De Marchis

ROMA. Se Massimo Bray si candida a Roma la scissione di fatto nel Pd assumerà contorni molto più definiti. Perché stavolta verrebbe guidata da un pezzo da novanta, il vero anti-Renzi della sinistra: Massimo D’Alema. C’è lui dietro la corsa annunciata, ma non confermata, dell’ex ministro della Cultura. I dalemiani, mentre l’ex premier è in trasferta a Teheran, lo dicono apertamente: «Non ci sono dubbi, se corre Bray D’Alema voterà per lui». Per lo statuto del Pd questa è l’unica condizione d’incompatibilità, l’unico vincolo di appartenenza: non si può sostenere una lista avversaria del partito nelle competizioni elettorali. Quindi, se D’Alema non solo votasse ma sostenesse pubblicamente Bray sancirebbe la sua uscita dal Pd.
Lo schema in realtà viene raccontato in un altro modo. Il sostegno avverrebbe solo dietro le quinte in un gioco di specchi che l’ex premier ha già sperimentato durante la segreteria di Walter Veltroni. Allora fondò Red, un’associazione parallela che faceva anche il tesseramento. «È uno schema dentro-fuori – dice una fonte dalemiana - . Del resto lo fa anche Renzi quando usa Verdini e Alfano contro un pezzo del Pd». Come dire: a brigante, brigante e mezzo. Secondo l’ex premier Bray avrebbe più possibilità di intercettare il consenso della sinistra, dei delusi del Pd e il voto di opinione di un’area moderata, della classe dirigente. Bray è un intellettuale, ex ministro della Cultura nel governo Letta, ex deputato del Pd, direttore della Treccani. Ancora oggi però nei week end gira l’Italia per non perdere il polso della politica e il contatto con la gente. Si candiderebbe a Roma con una lista civica, fuori dai partiti. «Decido entro 48 ore», dice. E D’Alema torna dall’Iran proprio domani.
Ma la sua sfida è tutt’altro che in discesa. Non deve avere avversari a sinistra, quindi la precondizione è che Stefano Fassina si ritiri. Cosa che l’ex Pd non vuole fare: «Chi appoggia Bray? D’Alema. Non mi faccio mettere fuori gioco da lui. Semmai facciamo le primarie». L’altra incognita è legata a Ignazio Marino, anche lui prodotto della Fondazione Italianieuropei diretta da D’Alema. Il ticket Bray-Marino è l’obiettivo finale. L’ex sindaco dimissionato dal Pd in realtà coltiva il sogno di una ricandidatura. Ha sicuramente un bacino di voti. Sta riflettendo, ha sentito più volte l’ex ministro della Cultura. Oggi i due si vedranno a quattr’occhi. Nel caso di un passo indietro, però, la preferenza di Marino va certamente a Bray: promuoverebbe una lista in appoggio. Il chirurgo infatti valuta Bray al suo livello, una partnership tra intellettuali, mentre considera Fassina un politico di professione. C’è anche questo elemento per Marino che quando incontra qualcuno ha il solito quaderno davanti e accanto al nome scrive “QI”. Alla fine del colloquio, sentenzia sul quoziente intellettivo dell’interlocutore.
Bray si deve poi appoggiare su Sel, ma la sinistra non ha una rotta. Vendola sarebbe offeso con Fassina per le sue critiche alla maternità surrogata proprio nei giorni della nascita di Tobia. L’uomo forte di Roma, Smeriglio cerca un accordo con Bray. Il coordinatore romano Paolo Cento propone addirittura il disarmo bilaterale: Giachetti e Fassina si ritirano e convergono su Bray. Cortocircuito totale. Sullo sfondo c’è anche la presa di distanza netta della minoranza dem. Gianni Cuperlo è duro sull’ipotesi del sostegno occulto di D’Alema a favore di Bray: «In politica non puoi fare a lungo cose che non puoi dire». E Roberto Speranza taglia corto: «Abbiamo fatto le primarie. Adesso stiamo tutti con Giachetti».