Repubblica 9.3.16
L’amaca
di Michele Serra
La
compravendita dei voti è un fenomeno ripugnante. Sia una mancia elargita
per paternalismo, sia voto di scambio vero e proprio, l’offesa è al
cuore della democrazia. Non è affatto importante stabilire se alle
primarie di Napoli il fenomeno abbia influito sul risultato finale:
sarebbe come dire che passare con il rosso non è grave se non determina
incidenti mortali. La reazione minimizzante di molti dirigenti del Pd
lascia di stucco. C’è un machiavellismo di serie B, in tante
dichiarazioni, che non è degno di una classe dirigente. Peggio, la
voglia di lasciar correre (“sono episodi marginali”, “sono fesserie”)
amplifica inevitabilmente i peggiori sospetti: è politicamente ottuso, e
l’ottusità, in politica, è un vizio imperdonabile (e per nulla
“machiavellico”). Non è la prima volta che la nuova classe dirigente del
Pd pecca di superficialità nel giudizio sul voto, ovvero sul vero e
proprio “momento sacro” della democrazia. A parte la sottovalutazione
delle gravi e accertate scorrettezze nelle primarie liguri, quando alle
elezioni regionali emiliane andò a votare solo un terzo dell’elettorato —
cataclisma impensabile in una società abituata a partecipare quasi in
massa alla vita collettiva — lo stato maggiore renziano incassò la
vittoria e non colse l’enormità dell’accaduto, che decapitava non questo
o quel partito, ma la politica nel suo insieme. Compresi i vincitori.
Un vincitore che non capisce di governare dimezzato ha lo sguardo corto e
poco futuro.