martedì 8 marzo 2016

Repubblica 8.3.16
La tentazione di perdere
di Stefano Folli

ALL’INDOMANI del rito delle primarie e al netto delle polemiche più ovvie, il quesito politico è uno solo: quanta voglia ha il Pd di restare unito dietro i vincitori e di sostenerli nella campagna amministrativa?
LA cronaca dice che non c’è da essere ottimisti. Lungi dal ricomporre le divisioni interne, il voto le ha accentuate. E il fatto che l’affluenza sia stata così deludente specie a Roma, la piazza principale, ha moltiplicato le critiche a Renzi, oltre che al referente capitolino Orfini. Ma bisogna distinguere fra due aspetti. Il primo riguarda la minoranza del Pd che ha reagito, come le accade spesso, con il linguaggio del ceto politico. Porre adesso la questione del cosiddetto “doppio incarico” (Renzi dovrebbe rinunciare alla leadership del partito essendo capo del governo), significa aggravare e non risolvere i problemi di comunicazione con l’opinione pubblica estranea alle logiche partitiche. Del resto le diatribe sul “doppio incarico” erano tipiche della Prima Repubblica, quando i grandi partiti erano organizzati in correnti. Oggi è solo un espediente per tentare di azzoppare Renzi con un gioco di palazzo, ma la minoranza non sembra avere abbastanza forza politica per centrare l’obiettivo. E di sicuro gli elettori, soprattutto quelli che sono rimasti a casa, non sono interessati al tema.
C’è un secondo aspetto molto più serio. La logica delle primarie prevede che dietro al vincitore si allineino gli sconfitti, ma questo accade quando esiste una certa omogeneità di fondo fra i vari contendenti. Così accade negli Stati Uniti, dove è raro che prenda forma una candidatura indipendente (quasi mai comunque per iniziativa di uno degli sconfitti nella giostra delle primarie). Viceversa da noi la tentazione di proseguire la battaglia contro il vincitore a scapito delle fortune del partito, è parecchio diffusa. Ed è possibile che prenda corpo anche stavolta, nonostante la quasi certezza di favorire gli avversari, siano essi il napoletano De Magistris o la grillina Raggi a Roma o persino l’uomo del centrodestra a Milano, Stefano Parisi.
IL fatto è che esistono ormai due visioni diverse e talvolta opposte del centrosinistra. Renzi vuole scavalcare le vecchie barriere destra-sinistra e allargarsi verso i settori moderati dell’elettorato. I suoi avversari gli contestano proprio questa prospettiva e immaginano di ancorarsi a sinistra attraverso un nuovo profilo socialdemocratico, qualunque sia oggi il significato dell’espressione. Ecco allora che le primarie non finiscono mai. Anzi, un passo alla volta si va verso la separazione sostanziale fra le due anime del Pd, anche se non si tratta di una scissione: non ancora, almeno.
L’ipotesi dell’ex ministro Massimo Bray, vicino a D’Alema, candidato a Roma contro Giachetti è tutt’altro che campata per aria. Anche a Milano si è parlato di un nome (Gherardo Colombo come simbolo di legalità?) da contrapporre al renziano Sala in linea di continuità con l’esperienza del sindaco “arancione”, Pisapia. E a Napoli il fronte Bassolino deve decidere che prospettiva dare al patrimonio di voti raccolti dall’ex sindaco sconfitto di poco da Valeria Valente. Un video diffuso ieri sul web, in cui sembra svolgersi uno squallido episodio di compravendita dei voti, equivale ad altrettanta benzina gettata sul fuoco. Bassolino non si candiderà in prima persona, ma nessuno crede che voglia impedire ai suoi sostenitori di prendere qualche iniziativa volta a danneggiare la Valente.
Tre città. In ognuna di esse un candidato alternativo messo in campo da sinistra è in grado di tagliare la strada al renziano vincitore delle primarie. Quel candidato non sarebbe in grado di vincere le elezioni, ma le farebbe perdere al rivale espressione di Palazzo Chigi. Come si capisce, se non è una vera e propria scissione, è comunque un’operazione azzardata che viene giustificata con l’esigenza di fermare Renzi e il suo progetto. E se pure la tentazione rientrasse, ovvero si realizzasse in una sola città, magari Roma, il solo parlarne rende evidente il malessere politico nel Pd.
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A gazebo chiusi lo sconfitto prosegue la sua battaglia contro il vincitore L’obiettivo è quello di tagliare la strada al renziano che lo ha battuto