Corriere 8.3.16
L’affluenza di Roma riaccende la lite nel Pd
Primarie,
diffusi i dati ufficiali: «Ai seggi più di 47 mila». Ma è polemica
sull’8 per cento di schede non valide Speranza: partito ridotto a
sommatoria di comitati elettorali. Giachetti: dai gazebo un segnale, non
un flop
di Ernesto Menicucci
ROMA
Quello che resta sul campo, dopo le primarie del centrosinistra a Roma,
sono le polemiche. Sui numeri finali (47.317 votanti, meno della metà
di tre anni fa), sulle schede bianche o nulle (3.710 in totale), sulle
frasi del commissario del Pd Matteo Orfini che parla dei 100.000 votanti
dichiarati nel 2013 come «quelli dei capibastone poi arrestati, di
Mafia Capitale, delle file dei rom». Polemiche, anche, sul doppio ruolo
di Matteo Renzi. La sinistra dem torna alla carica: «Il doppio incarico —
dice Roberto Speranza — non regge. Ed è una cosa che riguarda la tenuta
del primo partito del Paese: ha a che fare con la democrazia». Speranza
insiste: «A livello locale, il partito è una sommatoria di comitati
elettorali dove le porte girevoli del trasformismo sono spalancate.
L’affluenza? Testimonia il disagio degli elettori». Gli risponde Lorenzo
Guerini, vice segretario dei dem: «Il partito è in salute».
Ma
si discute, animatamente, anche su quanto dichiarato da Orfini. Sempre
Speranza: «Orfini così offende i romani». Controreplica: «I romani si
sentono più offesi da Mafia Capitale. Noi abbiamo bonificato e
disboscato quel tipo di partito, ma Speranza sembra rimpiangerlo».
L’altra bagarre è sui numeri. E non solo perché Nico Stumpo, già
responsabile dell’organizzazione con Bersani, nel primo pomeriggio si
scaglia contro il comitato delle primarie romane: «A quasi 24 ore dallo
spoglio siamo ancora a circa 50.000. Ma circa è un numero che non
esiste...». Anche i sostenitori di Massimo Bray scrivono ad Orfini: «Non
prendere in giro i cittadini».
I dati, alla
fine arrivano. E rivelano qualche sorpresa che diventa altra benzina
sul fuoco. Il Pd parla ufficialmente di oltre 47.000 persone ai gazebo,
ma i voti validi sono appena 43.607. Ne «ballano» quasi 4 mila, dispersi
in bianche e nulle. In percentuale, siamo all’8%, rispetto all’1% di
tre anni fa. Un numero impressionante, specie se si considera che chi è
andato a votare avrebbe così sborsato due euro (o anche di più, il
contributo era libero) per poi non esprimere una preferenza o
addirittura annullare la scheda. Credibile? Chissà. Ma il dubbio che
dietro quel dato si nasconda il tentativo di «gonfiare» un po’
l’affluenza — portandola vicino alla soglia dei 50.000 — è reale. Specie
se, come emerge da diversi territori, le rilevazioni sembrano diverse.
Il minisindaco del XV Municipio (zona nord di Roma) Daniele Torquati, su
Facebook, comunica due sole nulle. Nell’XI Municipio, al Portuense,
c’erano 3 bianche e 4 nulle. All’Eur, dove la renzianissima Patrizia
Prestipino ha organizzato lo spoglio in streaming, una bianca (una
signora che cercava sulla scheda il nome di Guido Bertolaso) e una
nulla. Stesso discorso in altre zone della città. Anche a Giachetti
scappa un lapsus: «Ci sono state 288 schede bianche...», un decimo delle
dichiarate. I conti, alla fine, non tornano neppure sui totali. Secondo
Pippo Civati «in cinque municipi hanno votato 12.000 persone: come si
arriva a 47 mila?». E in effetti, la media è vicina ai 2.400/2.500
votanti per ognuno dei quindici municipi romani, anche in quelli più
popolosi. Da oggi, comunque, inizia un’altra partita, che Giachetti
affronterà da vicepresidente della Camera: «Non mi dimetto, non c’è
incompatibilità». Poi aggiunge: «Non parlerei di flop, ma certo c’è un
segnale che dobbiamo raccogliere». Giachetti insiste sulla sua
indipendenza: «Voglio essere giudicato per quello che faccio, non in
base a cosa fa Renzi. La faccia è la mia». Un avviso a tutti. Fuori (ma
soprattutto dentro) il Pd.