Repubblica 7.3.16
L’incubo Donald Trump per la politica estera americana
di Nicholas Kristof
ESISTE
un incubo più spaventoso che immaginare il presidente Donald Trump che
nel bel mezzo di una tesa crisi internazionale, pieno di risentimento e
intolleranza, solleva il ditone sudato per pigiare il pulsante che dà il
via a un missile nucleare? Buona parte delle discussioni su Trump
vertono su questioni di politica interna. Ma la macchina degli equilibri
di potere e i controlli in atto pongono vincoli a ciò che un presidente
può ottenere in patria, mentre la Costituzione conferisce al comandante
in capo una libertà d’azione all’estero di gran lunga maggiore. Alcuni
giorni fa, un gruppo di intellettuali conservatori americani di spicco,
esperti di politica estera, ha reso nota una lettera aperta nella quale
avverte di non poter dare il proprio appoggio a Trump. Tra i cento
firmatari ci sono Michael Chertoff, ex segretario per la sicurezza
interna, e Robert Zoellick, ex vice segretario di Stato. «Le
dichiarazioni di Trump ci portano a concludere che da presidente egli
userebbe l’autorità conferitagli dal suo mandato per agire con modalità
che renderanno l’America meno sicura» si legge nella lettera aperta.
Presupposto
iniziale di queste posizioni è l’abissale ignoranza che Trump ha di
affari internazionali. Ogni volta che cerca di rassicurarci in merito,
oltretutto, aggrava la situazione come se girasse un coltello nella
piaga.
Quando gli è stata chiesta un’opinione sulla Siria, l’anno
scorso Trump ha detto che scatenerebbe l’Is per distruggere il regime
siriano. Ma questa è pura follia: l’Is già ora sta massacrando o
schiavizzando cristiani, yazidi e altre minoranze religiose, sta
uccidendo i gay, distruggendo i monumenti antichi, opprimendo le donne. E
Trump vorrebbe anche che conquistasse Damasco?
Seconda preoccupazione non indifferente è che Trump vorrebbe dare il via a una guerra commerciale. A gennaio ha detto al
New
York Times di essere favorevole a tariffe doganali del 45 per cento
sulle importazioni cinesi, e subito dopo ha smentito di averlo
affermato. Il Times ha divulgato la registrazione nella quale Trump ha
chiaramente sostenuto la tariffa del 45 per cento, che rischierebbe così
di innescare un conflitto commerciale tra le due più grandi potenze
economiche al mondo.
Ma c’è dell’altro: Trump caldeggia l’invio di
più soldati americani sul terreno in Iraq, e ha prospettato
l’eventualità di bombardare i siti nucleari nordcoreani. Un leader poco
informato, intollerante e bellicoso può arrecare grande devastazione. E
ciò vale nel caso di Kim Jong Un come di Donald Trump.
Il terzo
rischio per l’America concerne la sua reputazione e il suo soft power.
Sia Bush sia il presidente Barack Obama si sono adoperati moltissimo per
rassicurare il miliardo e seicento milioni di musulmani del pianeta che
gli Stati Uniti non sono in conflitto con l’Islam. Trump, invece, in
sostanza ha dichiarato guerra a tutti loro.
Il danno all’immagine
dell’America è già stato inferto, anche nel caso in cui Trump non fosse
mai eletto. Col solo fatto di essere uno spaccone che finisce nei titoli
di prima pagina in tutto il mondo, avalla le caricature degli Stati
Uniti e macchia la nostra reputazione internazionale. Trasforma
l’America in un oggetto di derisione. È l’Ahmadinejad americano.
C’è
qualcosa di demoralizzante nella prospettiva che il prossimo comandante
in capo americano possa diventare uno zimbello globale, un uomo
considerato nella maggior parte delle capitali internazionali alla
stregua di un buffone, e per di più pericoloso.
Trump non ha
un’ideologia precisa ed è anche possibile che da presidente si
circonderebbe di esperti, astenendosi da posizioni estreme. È parso un
buon segno il fatto che venerdì abbia ritrattato le sue parole,
promettendo che non ordirebbe all’esercito degli Stati Uniti di
commettere crimini di guerra. Eppure, il livello è talmente basso e
sconcertante che non riesco neppure a credere di aver appena scritto
un’affermazione del genere!
Peter Feaver, politologo della Duke
University, ex funzionario addetto alla sicurezza nazionale sotto la
presidenza Bush, ha fatto notare che la maggior parte dei repubblicani è
compatta nel credere che Obama e Hillary Clinton abbiano danneggiato
gli Stati Uniti e aggravato il fardello che dovrà sobbarcarsi il
prossimo presidente.
«Tuttavia», mi ha detto, «quello che Trump va
promettendo renderebbe tutti i problemi con i quali siamo alle prese
drammaticamente peggiori e più gravi. Nel momento del massimo bisogno
per il nostro paese della squadra migliore possibile siamo forse
disposti a mandare in campo dei pagliacci? ».
Nicholas Kristof è
scrittore ed editorialista del New York Times. Ha vinto due premi
Pulitzer Traduzione di Anna Bissanti © 2016, The New York Times