il manifesto 6.3.15
Israele intensifica le demolizioni di case palestinesi «illegali»
Cisgiordania.
Dall'inizio dell'anno, le forze armate israeliane hanno demolito o
danneggiato 323 case e altre strutture edilizie in Cisgiordania,
lasciando in strada 440 palestinesi, molti dei quali bambini. Intanto
Amnesty International lancia appello a favore di Mohammad Abu Sakha, il
clown della scuola del circo palestinese, detenuto senza processo
di Michele Giorgio
Abu
Imad sottolinea che i bulldozer dell’esercito israeliano sono di casa a
Khirbet Tana. «Sono venuti tante altre volte a buttarci giù le
abitazioni. Questa volta però non hanno risparmiato neppure la scuola e
quella più vicina ora è a 10 km di distanza» racconta Abu Imad, uno
degli anziani di questo piccolo villaggio agricolo a est di Nablus, in
Cisgiordania, dove vivono circa 250 palestinesi. «Vogliono costringerci
ad andare via», aggiunge «(gli israeliani) dicono che le nostre case
sono illegali. Noi non ci muoviamo, la nostra vita è qui nella nostra
terra, nei nostri campi e con le nostre pecore». A inizio settimana le
autorità israeliane hanno fatto abbattere 41 strutture abitative, bagni,
cucine e altro a Khirbet Tana, lasciando senza un tetto 36 persone tra
le quali 11 bambini. Per la scuola è stata la seconda demolizione dopo
quella del 2011. La “colpa” di Khirbet Tana è quella di trovarsi a
ridosso di una “firing zone”, una zona per l’addestramento delle truppe ,
e nell’Area C (il 60% della Cisgiordania che resta sotto il pieno
controllo di Israele). Qui per un palestinese è quasi impossibile
ottenere un permesso edilizio, anche un muretto di mezzo metro non
autorizzato viene inesorabilmente ridotto in polvere dalle ruspe
israeliane. Sono 38 le comunità palestinesi situate dentro queste
“firing zone” che coprono il 18% della Cisgiordania.
Il governo
israeliano ripete che la (sua) legge va rispettata e che gli “abusi
edilizi” saranno puniti. Un avvertimento che però riguarda solo i
palestinesi perchè le colonie ebraiche costruite in Cisgiordania dopo
l’occupazione nel 1967 continuano ad espandersi in violazione delle
leggi internazionali. E negli ultimi mesi, anche in risposta agli aiuti e
ai progetti europei nell’Area C a sostegno delle comunità palestinesi,
le demolizioni si sono moltiplicate. Siamo al livello più alto dal 2009
avverte Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu
nei Territori Occupati. Dall’inizio dell’anno, le forze armate
israeliane hanno demolito o danneggiato 323 case e altre strutture
edilizie in Cisgiordania, lasciando in strada 440 palestinesi, molti dei
quali bambini. Un terzo delle strutture prese di mira erano state
donate a famiglie senza casa. A forte rischio sono da anni i palestinesi
che vivono sulle colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania
meridionale. Anche in questa zona c’è una vasta area di addestramento
militare oltre a numerosi insediamenti colonici. E soggette a demolizion
sono pure le comunità beduine a Est di Gerusalemme. Qui lo scorso 21
febbraio le ruspe militari hanno ridotto in macerie la scuola elementare
di Abu al Nuwwar, costruita con fondi europei perchè “illegale”. I
soldati non hanno mancato di confiscare anche banchi e sedie. Abu al
Nawwar è tra le 46 comunità beduine che rischiano la rimozione forzata. A
ben poco sono serviti gli allarmi lanciati da Ocha. Il mondo, a
cominciare proprio da quello arabo, dimentica i palestinesi e i loro
diritti. Le politiche israeliane nei Territori Occupati riscuotono
scarsa attenzione mentre in altri Paesi del Medio oriente ogni giorno si
registrano stragi, bombardamenti, attentati e combattimenti in cui
muoiono decine se non centinaia di civili.
Il silenzio
internazionale non è sceso soltanto sulle demolizioni di case
palestinesi ma anche sul resto delle politiche di occupazione. Come
l’uso della detenzione amministrativa, senza processo, che ha avuto una
accelerazione dopo l’inizio dell’Intifada di Gerusalemme (uccisi almeno
180 palestinesi e quasi trenta israeliani). In prigione lo scorso 14
dicembre è finito anche Mohammad Abu Sakha, 23 anni, un componente della
Scuola del Circo palestinese. Arrestato da soldati israeliani, al posto
di blocco di Zaatara (Nablus), mentre andava a far visita ai suoi
genitori a Jenin, di lui non si è saputo nulla per vari giorni. La Croce
Rossa ha poi informato la famiglia che il giovane di trova nella
prigione di Megiddo. Mohammad Abu Sakha ha iniziato a studiare alla
Scuola Circo nel 2007 e nel 2011 è diventato uno degli artisti – fa il
clown acrobatico – e il trainer di bambini con difficoltà di
apprendimento: 30 dei più di 300 studenti della scuola. Amnesty
International ha lanciato una campagna a sostegno di Abu Sakha in vista
dell’appello che sarà all’attenzione dei giudici militari israeliani il
21 marzo. Dei 7.000 prigionieri politici attualmente in carcere in
Israele, circa il 10% non è stato processato ed è in detenzione
amministrativa. Contro questi “arresti preventivi” della durata di sei
mesi, rinnovabili, il giornalista Mohammed al Qiq ha attuato tre mesi di
sciopero della fame. Ha interrotto il digiuno appena una settimana fa
dopo aver raggiunto un accordo con le autorità israeliane.