Repubblica 7.3.16
Turchia. La scrittrice Elif Shafak
“Fare il reporter è diventato pericoloso”
“Un
articolo, un libro o un tweet possono portarti in prigione: molte
persone si autocensurano per paura. Questa non è democrazia”
intervista di M. Ans.
Elif
Shafak è la più famosa scrittrice turca, da sempre attenta ai temi
della libertà e delle donne. È tradotta in 30 lingue. Fra i suoi libri
più noti, “La bastarda di Istanbul” (Rizzoli)
Elif
Shafak, la più famosa scrittrice turca contemporanea, è al Festival di
Limes al Palazzo Ducale di Genova per parlare della sua poetica e della
situazione in Turchia.
Come sta seguendo le ultime notizie, con la stampa sotto tiro dopo il commissariamento del quotidiano
Zaman e con il direttore di Cumhuriyet che rischia l’ergastolo per uno scoop antigovernativo?
«Ho
visto gli scontri alla tv. Il lancio di lacrimogeni, i proiettili di
plastica usati dalla polizia per cercare di allontanare la folla sotto
il giornale. Sono molto triste. E ho seguito l’intera vicenda del
direttore di Cumhuriyet, Can Dundar. Purtroppo ci sono ancora tanti
giornalisti in prigione. Ed essere giornalista è diventata una
professione pericolosa in Turchia».
Com’è stato possibile arrivare a questo?
«Secondo
un sondaggio internazionale sulla libertà di stampa su 180 Paesi oggi
la Turchia è al 149° posto. Ma tutti noi nel mondo abbiamo bisogno di
un’informazione libera. Questo è un prerequisito della democrazia. In
Turchia però ogni giornalista, ogni scrittore, ogni poeta, ogni
accademico sa che a causa di un libro, di un articolo, di un tweet, o di
un poema può essere denunciato, chiamato a processo, forse arrestato, e
linciato sui social media, demonizzato sui giornali principali. Il
risultato è che c’è molta autocensura. E parlare di questo è difficile».
Che cosa succede?
«Quando
affermi qualcosa di critico, allora subito ti dicono: ‘Non ami il tuo
Paese, sei un nemico della nazione, un traditore’. Ma invece è proprio
il contrario. Se non mi piacesse il mio Paese, perché dovrei
prendermela? Invece io lo ho a cuore. Puoi criticare il governo, ma non
significa che non ami il tuo Paese».
Che cosa vuol dire oggi essere uno scrittore in Turchia, e soprattutto un intellettuale che prende posizione?
«In
Turchia siamo figure pubbliche, questo non accade altrove. E in quanto
tali si può essere o molto amati o molto odiati. Quando uno scrittore
dice qualcosa di critico in un’intervista o in un tweet, può succedere
che alcuni lettori reagiscano così: ‘Non ti leggerò più!’. Ma non
dobbiamo per forza essere d’accordo su tutto. La letteratura dovrebbe
essere uno spazio aperto alla discussione. Mentre in Turchia la
letteratura è orientata sullo scrittore, e non sulla scrittura in
generale».
Tra gli intellettuali e i giornalisti c’è chi vuole lasciare il Paese?
«Tra i democratici e i liberali ci sono persone che si sentono molto depresse e demoralizzate».
La ragione?
«Purtroppo
i principali leader politici hanno confuso la democrazia con un governo
della maggioranza. Ovviamente il risultato elettorale è molto
importante, e io ne ho pieno rispetto. Ma è solo il primo passo. Perché
la democrazia si sviluppi completamente abbiamo bisogno dello stato di
diritto, di libertà di espressione, di stampa, diritti per donne e
minoranze, separazione dei poteri. Se tutto questo non c’è, non può
esserci democrazia».