Repubblica 7.3.16
Lezioni di storia ai tempi di Obama
Mai
come durante questi anni di presidenza democratica sono cresciuti studi
e pubblicazioni sul secolo liberal. Dall’antischiavismo al New Deal
di Lucio Villari
Non
è contemplato nei dibattiti che accompagnano le primarie americane, né
Obama lo ha citato tra le conquiste della sua presidenza nel suo ultimo
messaggio sullo stato dell’Unione. Ma c’è un aspetto che in questi anni
di governo democratico è positivo: il grande slancio che ha avuto la
ricerca storica che, muovendo dalle università americane, continua a
dilatarsi
anche nella pubblicistica e nel giornalismo più colto. Una ricerca
mirata, in sostanza, su tre temi positivi della storia di quel paese. La
nascita della “nazione” americana, anzitutto, e il ruolo democratico di
alcuni presidenti (una biografia di Andrew Jackson - l’autore, Jon
Meachan, vincerà il premio Pulitzer - del presidente riformatore che
precorre le idee di Lincoln e di Roosevelt, è pubblicata nel primo anno
della presidenza Obama). Il secondo tema è, appunto, la guerra civile e
l’antischiavismo (sono stati numerosi, nel clima di questa presidenza, i
libri e i film sull’argomento). Il terzo, il decisivo contributo del
New Deal di Roosevelt alla vittoria nella Seconda guerra mondiale, in un
tempo di fragile confine tra la libertà e il dominio crescente del
nazifascismo e, in Asia, del militarismo giapponese.
Ebbene, un
settore molto attivo e documentato della storiografia e del giornalismo
culturale democratico dell’età di Obama si è concentrato soprattutto sui
tre anni e otto mesi( dicembre 1941 - agosto 1945) quando i cieli e gli
oceani del mondo furono solcati dagli aerei e dalle navi americani, e i
soldati Usa entrarono nelle campagne e nelle città e villaggi di
Italia, Francia, Belgio, Germania e nelle terre del Pacifico portando,
in un immane olocausto di civili e di militari, libertà, pane bianco, e
una gioventù che portava nello zaino lo swing di Duke Ellington e di
Glenn Miller, i V-disk, i romanzi tascabli rettangolari di Faulkner,
Steinbeck, Howard Fast e Dos Passos, le commedie musicali di Fred
Astaire, i film di Frank Capra...
Tre anni e otto mesi durante i
quali emerse la potenza irresistibile della terza rivoluzione
industriale americana (per la prima volta indirizzata non al profitto
capitalistico e alle speculazioni finanziarie ma a una guerra di
libertà, cioè a un mercato molto diverso) e, insieme alla critica delle
armi, emerse definitivamente la democrazia rooseveltiana. Una idea di
democrazia planetaria che seppe fondersi con la fermezza antinazista di
Churchill e con una Russia comunista risvegliata abilmente da Stalin al
nazionalismo patriottico di Aleksandr Newskij, di Guerra e pace, dei
generali Kutusov e Suvorov, dello zar Alessando I).
Anche questa
variabile culturale della presidenza Obama sembra voler rivendicare, di
fronte alle pistole brandite in questi mesi dai fan repubblicani,
l’eredità più preziosa della democrazia degli Stati Uniti. E riflettendo
su quanto sia spesso precaria questa eredità si percepisce meglio, e
Obama lo sa, quanto sia storicamente preziosa.
Ed ecco il più
recente libro, The Arsenal of Democracy (Mariner Books) tra i tanti di
questi mesi e anni, dedicato all’argomento. È di uno storico e
giornalista del Wall Street Journal Albert J.Baime. Il libro si apre su
una sala della Casa Bianca. È il 29 dicembre 1940. Il presidente si
apprestava a ricevere Clark Gable e Carole Lombard e intanto finiva di
scrivere un testo che avrebbe letto alla radio e che Blaime definisce
«one of the most important pieces of political rhetoric in modern
history».
In quei mesi Londra era martellata e terrorizzata dagli
aerei tedeschi mentre gli Stati Uniuti erano inchiodati non solo in una
neutralità e in un isolazionismo sempre più anacronistici, ma in un
contesto politico interno nel quale emergevano forze, schieramenti,
simpatie filonaziste e antidemocratiche. La risposta di Roosevelt non
poteva che essere quella di dichiarare l’assoluta disponibilità degli
Stati Uniti a fornire mezzi, aiuti, assistenza al paese amico, la Gran
Bretagna, e a quanti in Europa erano sotto un dilagante e inarrestabile
potere nazista. Insomma, essere la retrovia, l’”arsenale” della
democrazia minacciata di morte. La prima metà del libro è il racconto
dello sforzo per una “preparazione” morale e ideologica dell’industria
americana e dei suoi imprenditori capitalisti ad abbandonare gli spiriti
fascinosi del nazismo (uno di questi imprenditori era Henry Ford, ma
altri erano annidati dappertutto, dalla General Motors all’industria
alimentare). L’altra metà comincia da Pearl Harbor ed è la resurrezione
democratica di tutto il fronte industriale e finanziario americano che
ritrova nella febbre di armamenti tecnologicamente e scientificamente
nuovi e potenti, dagli aerei da bombardamento alle navi, le forme e i
modi di una democrazia vittoriosa e sicura di sé.
La produzione di
armi straordinarie, in tempi brevissimi, diventa così una sorta di
esplosione di vitalità e di entusiasmo popolare. Le pagine dedicate, ad
esempio all’impegno del figlio di Ford, Edsel, nella fabbricazione dei
B24 (saranno l’arma strategica di tutta la guerra), svelano anche
l’umanità di questo “arsenale”, danno un volto, un nome, una storia a
uomini e donne, a imprenditori, tecnici, scienziati, operai. Persone
come risvegliate dall’appello democratico e dal patriottismo della
nazione americana.
Uomini, dunque. A loro soprattutto si rivolge
il lavoro degli storici del tempo della presidenza Obama. Insieme al
volume di Baime sono infatti apparsi altri libri che integrano e
sviluppano, con documenti inediti, la guerra di Roosevelt. Ricordo solo
American
Warlords di Jonathan W. Jordan (Nal Caliber, New York), con i volti del
generale Marshall, dell’ammiraglio King, del segretario di Stato
Stimson, di Eisenhower, di altri signori della guerra che diventeranno
costruttori di pace. E tra questi il generale Marshall, al quale era
stata dedicata nel 2014 una poderosa biografia (Debi e Irwin Unger,
George Marshall, Harper), per non parlare dell’anno napoleonico degli
Stati Uniti, raccontato da Jay Wink (1944. F. D. Roosevelt and the Year
that changed History,
Simon & Schuster).
Libri che
svolgono gli argomenti di due opere che, nel 2012 e 2013, hanno
arricchito la storiografia americana di informazioni e documenti di
grande interesse. Parlo di Freedom’s Force, di Arthur Herman (Random
House), il cui sottotitolo spiega come il “Business americano ha
prodotto la vittoria nella Seconda guerra mondiale”, e Rendez vous with
Destiny di Michael Fullilove (The Penguin Press).
Qualcuno parlerà
di “nazionalismo” storiografico. In realtà si tratta di libri
criticamente e scientificamente fondati. Speriamo però che questa
fioritura di storia americana in chiave democratica susciti un pò di
emulazione in una storiografia europea che sembra assopita e stanca.