Repubblica 6.3.16
La Cina si rassegna “Il 2016 sarà duro” Pil tagliato al 6,5% il deficit sale al 3%
L’annuncio del premier Li Keqiang: investiremo nei salari, nei servizi e nell’urbanizzazione
E’ prevista la perdita di sei milioni di posti di lavoro nelle miniere e nelle fonderie di Stato
di Giampaolo Visetti
PECHINO.
L’obiettivo è la crescita, ma l’era del boom è terminata: anche la Cina
«deve affrontare problemi più gravi e sfide più difficili». Lo slogan
del premier Li Keqiang è «nuova normalità », il fine «costruire una
società moderatamente prospera». Nella sala che ospita i 3 mila delegati
dell’Assemblea nazionale del popolo, affacciata su piazza Tiananmen, i
toni non sono più quelli della doppia cifra. La seconda economia del
mondo ufficializza i target 2016 e il piano quinquennale di sviluppo
fino al 2020: l’avviso al business globale è che Pechino «non sarà più
la locomotiva capace di tirare tutti ». Confermati gli annunci del
Plenum di ottobre per il 2016, a cui si aggiungono i dieci punti del
programma economico, teso a trasformare la Cina da una super- potenza
fondata su produzioni low-cost ed export, in una «sostenibile e
alimentata da terziario e consumi interni». La leadership rossa fissa
«almeno al 6,5%» la crescita annua, rispetto al 6,9 del 2015, già dato
più basso da un quarto di secolo. Nel 2015 il partito-Stato aveva posto
il traguardo al 7%: per i mercati, allarmati da prospettive a picco fino
al 5%, significa che la Cina entro dicembre crescerà realisticamente
tra il 6,4 e il 7%, impegnandosi però «a non scendere sotto il 6,5% fino
al 2020». Rispetto al 2010 il Pil risulterà così raddoppiato e il
reddito pro capite crescerà in media del 6,5% all’anno, in flessione dal
7,4% dell’anno scorso. La spinta saranno accelerazione delle riforme,
aumento della produttività e sostegno ai salari, più un nuovo imput
all’urbanizzazione. Li Keqiang, aprendo le cosiddette “due sessioni” del
parlamento cinese, assicura anche che l’inflazione resterà sotto il 3%,
stessa quota del rapporto deficit-Pil. L’ingrossarsi del debito,
assieme allo scoppio della bolla finanziaria, aveva fatto suonare
l’allarme e gli analisti stranieri si erano spinti a prevedere lo
sfondamento del 4% per reggere l’urto della «grande ristrutturazione ».
Per Pechino fermarsi al 3%, dal 2,3% del 2015, significa comunque
accumulare debiti per 330 miliardi di dollari, la massa più alta dal
1979. Una crescita pari a un quarto di quella mondiale, nel 2016
permetterà alla Cina di creare 10 milioni di nuovi posti di lavoro, ma
questa volta anche i costi di annunciano alti. L’impegno del presidente
Xi Jinping è chiudere i colossi di Stato improduttivi, tagliare la
sovra-produzione industriale e quella di materie prima, dall’acciaio al
carbone. Il sacrificio è di 6 milioni di posti di lavoro, 1,8 in miniere
e fonderie, e il governo promette di stanziare 15 miliardi di dollari
per la ricollocazione dei lavoratori. A un «2016 difficile per il quale
bisogna prepararsi a combattere una battaglia complicata», corrisponde
però un tredicesimo piano quinquennale segnato da ottimismo e
«obbiettivi ambiziosi ». Tra i dieci punti, la crescita dei servizi al
56% del Pil, rispetto al 50,5% del 2015, e il 60% di popolazione
residente nelle città, rispetto al 56,1% attuale. Per renderlo
possibile, l’impegno è allargare l’”hukou” (sorta di permesso di
residenza ndr) al 45% della popolazione, integrando oltre 300 milioni di
migranti interni. Cruciali gli obbiettivi energetici, chiara la svolta
verde: meno 15% di consumi e meno 18% di emissioni per unità di Pil, più
58 gigawatt di potenza atomica e almeno 80% di giorni con una «buona
qualità dell’aria». Tra le infrastrutture, annunciati 50 nuovi aeroporti
e 30 mila chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità, rispetto ai
19 mila attuali. In calo solo la spesa militare: nel 2016 crescerà del
7,6%, dal 10,1% 2015. E’ l’incremento più contenuto da sei anni, causa
crisi e tagli di soldati, per un budget da 146 miliardi, un quarto di
quello Usa.