La Stampa 6.3.16
L’ultima rivoluzione cinese
50 milioni di posti di lavoro per rilanciare la crescita
Tagliate le stime del Pil al 6,5%, il tasso più basso degli ultimi 25 anni
Autostrade
e ferrovie. Verranno costruiti 30 mila nuovi chilometri di autostrade e
altrettanti chilometri di ferrovie ad alta velocità
di Cecilia Attanasio Ghezzi
«È
come navigare controcorrente: o ti sforzi di andare avanti, o vieni
trascinato a valle». Così il premier Li Keqiang ha descritto la
situazione che si trova ad affrontare lo stato più popoloso del pianeta.
È di fronte all’Assemblea nazionale del popolo, quasi tremila membri
eletti che si riuniscono una volta l’anno per ratificare le leggi dello
stato. Entro la metà di marzo dovranno approvare il prossimo piano
quinquennale, ovvero gli obiettivi economici che la Cina si propone di
raggiungere entro il 2020.
«Nei prossimi cinque anni ci troveremo
ad affrontare un numero sempre maggiore di problemi e di rischi» mette
in chiaro da subito il premier. Poi elenca i propositi del governo, un
modo per capire come la seconda economia del mondo ha intenzione di
affrontare il difficile momento di transizione che sta attraversando. Si
tratta di un piano vago e poco ambizioso. «Bisogna attraversare il
fiume tastando le pietre» avrebbe detto l’architetto della Nuova Cina,
Deng Xiaoping.
Fino al 2020 il tasso di crescita non dovrà
scendere sotto il 6,5 per cento. Per quest’anno si assesterà tra il 6,5 e
il 7 per cento. Inferiore quindi al 6,9 per cento del 2015, già il più
basso degli ultimi 25 anni. La scelta di stabilire una forchetta,
inoltre, dà l’idea dell’incertezza che regna nella stessa Zhongnanhai,
il cremlino cinese. Era dal 1995 che non veniva usata. Quest’anno, poi,
il debito pubblico arriverà a 300 miliardi di euro: un aumento di 79
miliardi, pari al 3 per cento del pil. È il più alto dal 1979. Significa
che si preferisce ricorrere agli stimoli piuttosto che puntare tutto
sulle inevitabili riforme strutturali.
Nei prossimi cinque anni,
la Cina si propone di raddoppiare il reddito medio procapite rispetto a
quello del 2010; costruire 30 mila nuovi chilometri di ferrovie ad alta
velocità e altrettanti di nuove autostrade. Per il 2020, il 60 per cento
della popolazione risiederà in città. Saranno creati 50 milioni di
nuovi posti di lavoro nonostante la ristrutturazione annunciata delle
cosiddette «aziende zombie». Si tratta di quelle aziende statali tenute
artificialmente in vita dai governi locali che impiegano circa 30
milioni di persone. Spesso coincidono con quegli stabilimenti che
producono acciaio, carbone, alluminio, cemento e vetro in eccesso. Si
parla di almeno 1,8 milioni di esuberi (tra i 5 e i 6 milioni secondo
fonti di Reuters).
Siamo di fronte al temuto “punto di svolta di
Lewis” ovvero il momento in cui un’economia in via di
industrializzazione esaurisce la manodopera a buon mercato e non
qualificata. Aumentano i salari, rallentano i tassi di crescita e le
aziende devono diventare più efficienti e innovative per sopravvivere.
Si tratta di passare dall’industria al terziario, incrementare
ulteriormente la popolazione urbana e trasferire ricchezza alle famiglie
in modo da alimentare i consumi. Una situazione che se non affrontata
con l’adeguata accortezza rischia di diventare esplosiva.
Così la
Cina ha deciso di puntare sulla crescita del settore dei servizi nelle
città medio-grandi, sul turismo, sulle aziende IT e sull’innovazione.
L’ambiente torna ad essere una priorità del governo che già da
quest’anno prevede di riconvertire un milione di ettari in terreni
boschivi e praterie. Nonostante la politica estera sempre più assertiva
dell’ex Impero di mezzo, anche l’Esercito di liberazione dovrà
modernizzarsi. Oltre al taglio già annunciato di 300 mila unità, la
crescita del budget militare sarà la più bassa da sei anni a questa
parte: 7,6 per cento. La sicurezza della «ciotola di di riso di ferro» è
ormai solo un ricordo.