Repubblica 5.3.16
Aleksandr Rodcenko
La rivoluzione russa della fotografia
Con
oltre 300 opere tra scatti e costruzioni spaziali, il Museo della
Svizzera italiana di Lugano rende omaggio al maestro sovietico
di Olga Gambari
Le
fotografie di Aleksandr Rodcenko sono l’esempio perfetto e stupefacente
di come la realtà sia una questione di punti di vista. E forse anche la
verità che essa contiene. Dipende da come la si guarda. E Rodcenko la
guardava volandoci attorno, osservando da postazioni audaci, dall’alto e
dal basso, con tagli obliqui che scoprivano prospettive e visioni
inimmaginabili. Per abituare le persone a nuovi punti di vista è
essenziale fotografare gli oggetti quotidiani e familiari da angolazioni
totalmente inaspettate e in posizioni del tutto inconsuete – diceva.
Ancora
oggi le sue fotografie dinamiche e potenti sono un invito a osservare
davvero il mondo attorno, ad avere un occhio critico personale, non
accontentandosi dello sguardo che il proprio fisico, o la cultura
dominante, impongono. Sin dalle prime foto, scattate per realizzare
fotomontaggi con cui illustrava riviste e manifesti, si era reso conto
dell’enorme potenziale di questo
nuovo mezzo, che assorbiva e oltrepassava gli altri linguaggi artistici, cambiando la percezione s del reale.
Mosso
da una creatività libera e anticonvenzionale, che eleggeva la
sperimentazione come pratica, inscindibile dal rigore tecnico e formale,
fu uno dei protagonisti dell’eccezionale periodo dell’avanguardia russa
e della sua rivoluzione artistica. Il suo atteggiamento attivo nei
riguardi della vita nasceva dalla fede in un futuro migliore per la
società, che si poteva costruire anche attraverso la cultura. Rodcenko,
influenzato da suggestioni futuriste, suprematiste e dada, si ispirava
soprattutto ai principi del movimento costruttivista, che negava l’arte
per l’arte. Erano gli anni Venti del Novecento, la rivoluzione era
appena accaduta, gli intellettuali e gli artisti credevano in progetto
comune a servizio della società russa. Un fuoco creativo alimentato da
utopie, ideali politici e accelerazioni innestate dalle avanguardie in
corso. La nuova Unione Sovietica era da educare e costruire. L’arte era
una grande risorsa e le immagini avevano un ruolo fondamentale, dovevano
sviluppare un concetto comunicativo efficace. Rodcenko inizia proprio
dalla dimensione della grafica, che gli conferisce l’inconfondibile
stile con cui caratterizzerà anche il lavoro fotografico, quello
scultoreo e pittorico. Per lui ogni immagine era prima di tutto un
progetto compositivo preciso, volto a esprimere un’idea, in cui elementi
grafici come linee, curve e volumi ne determinavano la struttura
formale.
La mostra che gli dedica il Museo d’arte della Svizzera
italiana nella sede del LAC di Lugano, curata da Olga Sviblova,
direttrice del Moscow House of Photography, è un percorso che esplora la
sua produzione fotografica, anche quella meno famosa, messa in
relazione con altri aspetti della sua ricerca. Primo fra tutti, la
grafica, con un ricco nucleo di fotomontaggi e di collage, anche
satirici, usati per illustrare riviste e libri, dalle tavole di
Pro Eto di Vladimir Majakovskij al progetto di copertina per una raccolta di versi di poeti costruttivisti, Mena vsech.
Ma
ci sono anche manifesti, di natura politica come quelli sindacali, o
per il film di Dziga Vertov Cine- occhio. Tutte collaborazioni che
raccontano di una comunità di intellettuali che lavorava insieme, al di
là dei percorsi individuali. Rodcenko ne ha fissato i volti, scatti come
appunti di memoria. In una sezione della mostra sfilano le immagini di
sua moglie, Varvara Stepanova, con cui condivise vita e progetti, poi
Lilija Brik, scrittrice e attrice, oltre che musa di Majakovskij e
moglie dello scrittore Osip Beskin, tutti presenti. E ancora il pittore
Aleksandr Sevcenko, lo scrittore Sergej Tret’jakov, i registi Lev
Kulesov e Aleksandr Dovzenko. Poi arrivano le immagini celebri come
Scale, con una donna persa su una scalinata immensa, che evoca
Ejzenstejn, perché le sue foto erano anche cinema. Ci sono le parate, i
ginnasti, Mosca anni ‘20, con balconi e palazzi che si stagliano come
volumi puri, la fabbrica di automobili AMO con gli elementi meccanici
esposti. Ci sono anche le foto che lo resero poco per volta inviso al
potere, fino a ostracizzarlo per aver abbandonato il carattere sociale
della sua ricerca a favore di un’indulgenza manierista e di un puro
estetismo. Per la serie dei Pioneer (1930), uomini e donne del popolo
fotografati dal basso e trasformati in eroi, venne accusato di deformare
i soggetti oltraggiandoli. Rodcenko provò a reagire, realizzando
servizi per riviste celebrative come SSSR na strojke (URSS in
costruzione).
E poi ritirandosi in una dimensione onirica e
intimista, fuori dal presente. Fino a rifugiarsi nella pittura, dove
ritroverà una sua libertà espressiva. Lontano dalla fotografia.