La Stampa 5.3.16
Nel segno di Iside l’incontro delle civiltà
L’influsso dell’antico Egitto sul mondo greco-romano
di Maurizio Assalto
Certo,
a vedere quelle statuette con una giovane donna che allatta il
figlioletto al seno, non è possibile non pensare alle miriadi di
immagini della Madonna col Bambino prodotte dal Medioevo in poi. Invece
la giovane donna è Iside, la grande dea degli Egizi, il Bambinello è suo
figlio Arpocrate (il nome da infante di quello che diventerà Horus), e
il tutto è stato plasmato lungo il Nilo (ma poi anche in varie parti del
Mediterraneo, anche sulle coste italiche) alcuni secoli prima (e poi
anche dopo) la venuta di Nostro Signore.
Un plagio cristiano?
Sappiamo che il cristianesimo è debitore di molte concezioni più
antiche, rimodellate e reinterpretate (anche Arpocrate-Horus, come più
tardi il greco Dioniso-Zagreus, conosce una vicenda di uccisione,
addirittura di smembramento, e risurrezione). Ma nella mostra «Il Nilo a
Pompei», che si apre oggi al Museo Egizio (fino al 4 settembre, con
importanti prestiti italiani e internazionali), la suggestione è
lasciata in sospeso: tanto più che le immagini di Maria lactans,
nell’Egitto cristiano del V-VII secolo, sono molto rare, e il motivo
iconografico riemerge soltanto nell’Italia del 1100. Pure, le
contaminazioni dell’Egitto con la koiné greco-romana, e più in generale
con il mondo mediterraneo, sono innegabili e non in una sola direzione.
Come dimostra questa intelligente rassegna che nel rinnovato museo
inaugura lo spazio dedicato alle esposizioni temporanee, che il
direttore Christian Greco, curatore della mostra con Federico Poole e
Alessia Fassone, vorrebbe organizzare annualmente per investigare le
influenze della cultura egizia nell’arte e nella cultura di tutti i
tempi, fino alle avanguardie novecentesche.
Se le prime tracce di
contatti risalgono addirittura alla metà del secondo millennio (esposto
un grande vaso di impostazione minoico-cipriota e con iscrizioni
geroglifiche, da Deir el-Medina), è nei secoli successivi, con Omero e
poi con Erodoto, Platone, Diodoro Siculo, Plutarco, che l’immagine
dell’Egitto si fissa presso i greci come quella di un luogo esotico,
misterioso, affascinante e di sapienziale antichità. Nel III secolo a.C.
sono attestati i primi insediamenti di mercanti egiziani a Delo, quindi
al Pireo e, tra la fine del II e l’inizio del I, sulle coste della
Campania.
Intanto la conquista del paese dei faraoni da parte di
Alessandro e il successivo insediamento della dinastia greca dei Tolemei
nella nuova capitale Alessandria hanno dato vita al crogiolo di una
nuova civiltà. Alcune vecchie divinità egizie passano in secondo piano,
altre nascono e vengono assimilate a quelle elleniche, come Serapide (un
misto di Osiride a Api, variamente e liberamente identificato con Ades,
con Zeus, con Asclepio). Su tutte, e al centro di tutto, Iside,
l’antica grande dea della fertilità identificata con Afrodite e
infinitamente rideclinata, come si vede nei reperti in mostra: Isis
Fortuna, Isis Pelagia (protettrice dei naviganti), Isis Panthea (sintesi
di tutta la divinità immaginabile), Isis come dea dei misteri
iniziatici (cosa che non era mai stata nella terra d’origine) associata
alla Demetra eleusina.
A Roma e nelle altre città della repubblica
(poi dell’impero, fino alla piemontese Industria, l’odierna Monteu da
Po) ai larari con la tradizionale triade capitolina (Giove, Giunone,
Minerva) si affiancano quelli con Iside, Arpocrate, Serapide e Anubi.
Alla grande dea madre è dedicato un imponente tempio a Benevento, da cui
proviene una statua di diorite dell’imperatore Domiziano (I sec. d.C.)
ritratto come un faraone, con il copricapo nemes, le braccia rigide
lungo i fianchi, la gamba sinistra avanzata, secondo una plurimillenaria
tradizione iconografica. Un altro Iseo sorge a Pompei intorno al 100
a.C., e nelle domus della città vesuviana le decorazioni parietali si
affollano di elementi egittizzanti, come negli affreschi esposti, dalla
Casa del Bracciale d’oro, con lussureggiante vegetazione mediterranea
dalla quale spuntano teste di faraoni e - in funzione ormai meramente
decorativa - sfingi alate, quindi greche, ma in posizione accovacciata,
come quelle egizie. Ormai l’Egitto è una moda, sovente una mania.
Attraverso
i primi scambi commerciali, poi le due conquiste - quella di Alessandro
(332 a.C.) e quella romana (31 a.C.) - due grandi civiltà si sono
contaminate con vantaggi reciproci. Ed è questo, in filigrana,
l’insegnamento della mostra: ospitata nelle sale opportunamente dedicate
a Khaled al-Asaad, l’anziano archeologo trucidato la scorsa estate a
Palmira dai fanatici dell’Isis, che per una felice combinazione si
inaugurano col racconto di una storia che è l’esatto opposto di quella
vissuta in questi tempi nel Medio Oriente in fiamme. E che corregge in
qualche modo la profezia di Samuel Huntington: tra le civiltà, se sono
davvero civiltà, ci può essere, c’è incontro; lo scontro si dà soltanto
con l’inciviltà.