Repubblica 4.3.16
Gli evacuati da Calais rifiutano l’ospitalità
in centri di accoglienza sperando di andare Oltremanica “Non cerchiamo
un luogo sicuro, ma un lavoro”
Tra i profughi della “Giungla” che sognano ancora Londra “In Francia non c’è futuro”
Le ruspe continuano a distruggere le baracche. E la tensione resta alta. Lo schieramento di polizia è impressionante
di Anais Ginori
CALAIS
«FRANCE NO GOOD», dice Shai, arrivato dall’Afghanistan. Gli sono
bastati pochi giorni per farsi un’idea. «Se decidessi di rimanere,
potresti chiedere asilo, ottenere i documenti ed essere finalmente in
regola», spiega Laure. «Voglio andare nel Regno Unito, so che è
difficile ma ci riuscirò ». Il cielo si copre, piovono sassate. «Non
pensi che staresti meglio al caldo, in un luogo sicuro, invece che nella
Giungla?», insiste la giovane funzionaria dell’Office français de
l’Immigration et de l’Intégration (Ofii). «Voglio un futuro, non un
posto dove dormire», risponde il ragazzo con un sorriso.
È un
dialogo che procede a stenti. La maggior parte dei migranti nella
bidonville fuori Calais coltiva ancora la speranza di passare dall’altra
parte della Manica. Con i loro giubbotti rossi, le squadre dell’Ofii
perlustrano la Giungla in cerca di persone disposte a trasferirsi nei
centri di accoglienza sparsi nel paese. Da quando l’evacuazione di una
parte del campo è cominciata i tour si sono intensificati. L’ordine
della Prefettura è portare in salvo più persone per diminuire l’onta
della Giungla. Eppure, nonostante la promessa di un rifugio più comodo
delle capanne nel fango, i funzionari pubblici si scontrano con molte
resistenze.
La Francia non fa più sognare. È un paese in crisi,
con un tasso di disoccupazione al 10 per cento mentre oltre il mare è la
metà. «Molti migranti non vogliono essere assistiti, cercano un
lavoro», racconta Didier Leschi, direttore dell’agenzia francese per
l’Immigrazione che propone ai migranti un alloggio, la possibilità di
chiedere asilo e avere così un sussidio minimo di 350 euro al mese. Il
cliché di stranieri che vengono per diventare parassiti del welfare non è
sempre vero. Anche i migranti hanno i loro pregiudizi, spesso
alimentati da fazioni opposte. Mentre la squadra dell’Ofii setaccia
l’accampamento, gli attivisti No Border distribuiscono volantini in
arabo per convincere i migranti a non muoversi: «In realtà vogliono
imprigionarvi, deportarvi». La settimana scorsa i funzionari sono stati
aggrediti verbalmente. «Fate i rastrellamenti come durante
l’Occupazione», hanno gridato i No Border, soprattutto inglesi e
tedeschi, ma anche italiani e spagnoli. «Perché non andate dall’altra
parte della Manica per far cambiare la politica migratoria inglese?»,
risponde polemicamente Leschi.
La tensione rimane alta, lo
schieramento di polizia è impressionante. Le ruspe continuano a
distruggere baracche. Ieri alcuni iraniani si sono di nuovo cuciti la
bocca in segno di protesta. «Dobbiamo anche combattere contro la
disinformazione», sospira Antoine, un altro dei funzionari dell’Ofii.
«Molti alimentano false voci sui rimpatri forzati che invece non ci
sono». Il terrore dei migranti è essere “dublinati”, neologismo coniato
dalla regola del Trattato di Dublino che prevede che i richiedenti asilo
debbano fare domanda nel paese di primo approdo. «Ho paura di essere
rimandato in Grecia», spiega il curdo Nabil. Secondo diverse
associazioni l’uso della forza nel primo giorno dell’evacuazione ha
rotto la fragile relazione di fiducia costruita i migranti.
Un
pullman è parcheggiato sul piazzale ai confini dell’accampamento.
Direzione Nantes e Angers. Una cinquantina di rifugiati fa la fila.
«Baba», urla una bambina siriana che aspetta il padre a bordo. «Quando
sono arrivati e hanno visto la situazione hanno accettato subito la
nostra proposta», racconta il funzionario dell’Ofii. Da ottobre
l’agenzia dello Stato è comunque riuscita a convincere 2897 migranti ad
abbandonare la Giungla. Nonostante il volto duro del governo di Manuel
Valls, dietro le quinte la Francia si organizza discretamente per
rispondere all’emergenza. Un quarto dei migranti arrivati nei centri poi
ci ripensa. Torna nella Giungla o verso altre città del nord in cui
secondo l’incontrollabile passaparola ci sarebbe l’ambito “passaggio”
per il Regno Unito. Spesso invece subentra la delusione. Alcuni curdi
hanno chiesto di essere rimpatriati a Erbil e due famiglie di siriani
vorrebbero adesso tornare a Damasco. Non è solo la Francia, è l’Europa
che fa sempre meno sognare.