giovedì 3 marzo 2016

Repubblica 3.3.16
Il Cile oggi premia i diplomatici che durante il golpe riuscirono a proteggere nella nostra ambasciata i perseguitati da Pinochet
Gli eroi italiani di Santiago così salvarono gli oppositori
di Omero Ciai

«IN QUEI MOMENTI, quando accompagnavo i perseguitati politici cileni, sani e salvi all’aeroporto — ha scritto l’ambasciatore Roberto Toscano — pensavo che fare il diplomatico fosse il mestiere più bello del mondo». E sì, perché nella lunga notte della dittatura militare, ci fu un piccolo gruppo di diplomatici italiani che, lasciati senza istruzioni dalla Farnesina, scrissero a Santiago del Cile una delle pagine più belle e appassionanti della nostra solidarietà internazionale. E che oggi, in una cerimonia che si svolgerà a Roma, saranno premiati dall’ambasciatore del Cile in Italia, Fernando Ayala. «Un atto simbolico — dice Ayala — un riconoscimento alla grande generosità di tutti gli italiani verso i cileni perseguitati dalla dittatura negli anni Settanta».
Furono molti mesi, fra il settembre del ’73 e il 1975, nei quali l’ambasciata d’Italia a Santiago del Cile si trasformò in un rifugio, un’isola di salvezza, per centinaia di “asilados” politici braccati dalla polizia di Pinochet. A gestire l’ambasciata, nelle ore in cui Salvador Allende moriva suicida nel palazzo della Moneda preso d’assalto dai militari golpisti, c’erano Piero de Masi, primo consigliere e incaricato d’affari mentre l’ambasciatore era fuori sede e non sarebbe rientrato perché il governo italiano non riconobbe la giunta, Roberto Toscano, allora giovanissimo secondo consigliere e “addetto commerciale”, e Damiano Spinola. Più tardi arrivarono l’ambasciatore Tomaso de Vergottini e, dall’Argentina, i consoli Enrico Calamai e Emilio Barbarani.
«Non decidemmo nulla all’inizio — ricorda Toscano — ci capitò. I primi ad arrivare subito dopo il golpe furono gli italo-cileni, che l’ambasciata doveva proteggere. Poi tantissimi altri che saltavano il muro d’ingresso e si rifugiavano nella residenza. C’erano persone che erano state arrestate, spesso torturate, rilasciate, e poi nuovamente ricercate, o che comunque vivevano sotto l’incubo di un nuovo arresto ». De Masi, per concedere asilo ai rifugiati, s’inventò, nei dispacci che inviava alla Farnesina, la formula «Salvo diverse istruzioni...», che non arrivarono mai. Mentre Toscano trattava con il ministero degli esteri cileno la concessione dei salvacondotti che consentivano ai cileni di lasciare il Paese. Furono più di 750 i cileni messi in salvo grazie al lavoro del piccolo gruppo di diplomatici italiani a Santiago. «Per alcuni — ricorda ancora Toscano — l’amichevole reclusione nella nostra residenza durò qualche settimana, per altri un anno intero». In alcuni periodi nell’ambasciata ci furono fino a 250 rifugiati contemporaneamente. Uomini, donne, vecchi e bambini. «Tutti dormivano per terra su materassi della Croce rossa — ha ricordato Emilio Barbarani — stipati fin negli abbaini. C’erano solo cinque o sei bagni a disposizione e si formava una lunghissima fila anche solo per lavarsi e per radersi». Il momento più drammatico di quei mesi fu quando i militari, una notte durante il coprifuoco, gettarono il cadavere di Lumi Videla, una giovane militante del Mir, la sinistra rivoluzionaria, che avevano torturato e ucciso, nei giardini dell’ambasciata. I giornali della dittatura scrissero che era morta «uccisa dai suoi compagni durante un’orgia», e cercarono di costruire un casus belli per forzare l’ingresso della residenza diplomatica e arrestare tutti i rifugiati. Toscano raccontò com’erano andate veramente le cose, ma da quel momento divenne una persona non grata e — era il novembre del ‘74 — dovette abbandonare il Cile.
Fra i rifugiati passò persino Silvano Girotto, al secolo “Frate mitra”, famoso anni dopo in Italia perché collaborò con il generale Dalla Chiesa all’arresto del fondatore delle Brigate rosse, Renato Curcio. Girotto allora era un francescano missionario in Bolivia e aveva raggiunto il Cile per opporsi alla dittatura. «Era ferito a una spalla», ricorda Toscano, «lo curammo e poi partì per l’Italia». Lasciando una grossa pistola nascosta in un sacco di buste di latte in polvere. Molte altre ambasciate in quei mesi ospitarono e salvarono perseguitati politici. Ma tra quelle europee furono soprattutto la nostra e quella svedese. Per niente quella britannica.
Pensando all’oggi, ai siriani che fuggono dal terrore della guerra civile, Toscano è profondamente deluso. «È clamorosa la nostra indifferenza. Credo perché è morta la politica e viviamo nel tempo della paura. Il diverso, l’altro da noi, è percepito dalla gente soltanto come una minaccia. La storia della solidarietà che abbiamo vissuto negli anni del Golpe di Pinochet in Cile, ci può dare un’idea di quanto siamo cambiati oggi».