Repubblica 3.3.16
È pronto, tutti a tavola il cibo è diritto alla felicità
di Stefano Rodotà
Agricoltura
sana, biodiversità, libertà dei popoli, lotta alla fame e tutela
dell’ambiente A trent’anni dalla nascita di Slow Food, torna “Buono,
pulito e giusto”, il manifesto di Carlo Petrini
Il progressivo
diffondersi e radicarsi del diritto al cibo, con la sua origine nella
consapevolezza del suo essere bene comune, fondamentale bene della vita,
deve davvero molto all’opera di Carlo Petrini, per la sua capacità di
congiungere azione concreta e riflessione culturale. Quando ci si
inoltra nel terreno dei diritti, bisogna individuare i soggetti che ne
sono titolari e, insieme, costruire le istituzioni che ne rendono
possibile
l’attuazione. Una istituzione è stata inventata, trent’anni fa, ed è
stata nominata Slow Food. Formula non solo fortunata, ma che, nel suo
planetario diffondersi, ha mostrato con immediatezza che ci troviamo in
una dimensione irriducibile a quella storica degli Stati nazionali. Il
riferimento oggettivo di questa istituzione si trova infatti in un dato
propriamente globale — la Terra Madre, la Pacha Mama della lingua
quechua, insieme oggetto da salvaguardare e soggetto portatore di propri
diritti, com’è esplicitamente scritto nelle costituzioni di paesi come
l’Ecuador e la Bolivia.
Ma questo gioco incrociato tra
soggettività e oggettività non corre il rischio dell’astrazione, come
mostra, ad esempio, il comparire della “via campesina”, in cui si
congiungono un soggetto collettivo, milioni di contadini, e una modalità
associata dell’agire sociale, economico, politico.
Riproponendo,
arricchito, il suo libro più importante, Petrini individua con
precisione il contesto all’interno del quale deve svolgersi il discorso
sul cibo, che dev’essere Buono, pulito e giusto (Giunti- Slow Food,
pagg. 347, euro 14,50). Ma, se questa è la dimensione oggettiva del
discorso, i titoli di altri suoi libri ne individuano anche quella
soggettiva, con parole forti, che rinviano al linguaggio storico del
costituzionalismo: libertà e felicità. Qui compaiono le persone, con i
loro diritti e i loro bisogni, quelli materiali certamente, proiettati
però verso la pienezza della vita. Ci avvediamo così che la riflessione,
se deve partire dalla constatazione, tutt’altro che scomparsa, della
drammatica associazione tra cibo, fame e sopravvivenza, non può fermarsi
qui. Anzi, proprio se si vogliono creare le condizioni propizie
all’uscita dalla fame senza essere obbligati ad approdare alla totale
privatizzazione del mondo, si deve guardare al cibo e alla sua
produzione avendo presente l’opposizione sempre più aggressiva tra
produzione industriale e distruzione stessa dell’agricoltura, come
accade quando l’impianto puramente produttivistico cancella tutto il
sapere storico che intorno ad essa si è accumulato. Un vero cambio
d’epoca, che non si coglie soltanto nella dimensione, pur essenziale,
della tutela dell’ambiente.
A questo punto l’interrogativo diventa
radicale: può la gastronomia essere una scienza? Deve esserlo, risponde
Petrini, perché scientifico dev’essere il modo in cui devono essere
analizzati i molteplici problemi che si intrecciano intorno al cibo.
Viene così mobilitato l’insieme delle conoscenze — chimica, fisica,
agricoltura, geopolitica, medicina… Ma l’esito non è una scienza
opprimente, “triste”. È, all’opposto, una scienza “felice”, fondamento
del buon vivere, via maestra perché salute individuale e ambiente
globale possano trovare effettiva e umana garanzia.
Così intesa,
liberata dall’elitismo e dall’esibizionismo sterile, la gastronomia
diviene condizione per la libertà di scelta d’ogni persona nel momento
in cui si pone il tema dell’accesso ai beni della vita. Ma è pure quella
dei produttori di veder rispettate la loro tradizione e la loro
cultura, di non essere assoggettati alle logiche espropriative dei
diritti di brevetto, contribuendo così a quello sviluppo sostenibile che
costituisce ormai una premessa necessaria per una effettiva tutela
dell’ambiente. E libertà dei popoli a non essere soggetti al land
grabbing, all’acquisto o all’affitto a lunghissimo termine di terreni da
parte di fondi di investimento o di società multinazionali per la
coltivazione di prodotti agricoli che vengono poi esportati in Stati
stranieri o destinati al mercato internazionale. In questo modo grandi
estensioni di terra vengono sottratte alle popolazioni locali, “chiuse”
al loro accesso, con nuove storture che rendono più difficile uscire da
contraddizioni radicali, come quelle riguardanti il consumo opulento e
lo spreco. Questi sono gli itinerari lungo i quali ci conduce, con mente
esperta e ricchezza di esempi, Carlo Petrini. E solo ragionando così è
possibile rendersi conto della giusta insistenza dell’Onu sulla
necessità di non separare il diritto al cibo dagli altri diritti
fondamentali, di guardare all’indivisibilità dei diritti. E la
perentorietà di questa impostazione viene rafforzata dal rifiuto di ogni
riduzionismo, a cominciare da quello che tende ad identificare il
diritto al cibo solo con la disponibilità di un “minimum package” di
calorie, proteine e altri elementi nutritivi, al quale corrisponde una
riduzione al minimo anche delle obbligazioni degli Stati.
Collocato
tra i diritti fondamentali della persona, costituzionalizzato, esso ci
parla di un cibo che non deve essere soltanto sano, adeguato
accessibile, ma pure “compatibile con la cultura” di ciascuno. Compare
così l’eguaglianza, e diviene evidente che il modo in cui viene
riconosciuto il diritto al cibo appartiene al processo democratico. Non è
un caso, né un arbitrio, che oggi si parli sempre più largamente non
solo di “food security” e di “food sovereignity”, ma di “food
democracy”.
Nel suo richiamarsi a tradizioni e cultura Carlo
Petrini non fa mai una operazione nostalgica, perché ricostruisce la
memoria collettiva attraverso un puntuale confronto con una storia
presente irriducibile all’impetuosa pretesa di ridurre tutto alla logica
del mercato. È un libro sul futuro, non sul passato.
IL LIBRO
Buono, pulito e giusto di Carlo Petrini torna in libreria dieci anni
dopo la prima edizione ( Giunti- Slow Food, pagg. 347, euro 14,50).
Sabato 5 marzo alle 11, il libro viene presentato all’Auditorium dellAra
Pacis a Roma. Dialogano con l’autore Cristina Bowerman, Tullio Gregory e
Stefano Rodotà. Interviene Nicola Zingaretti e modera Marcello Masi.