La Stampa 4.3.16
Il Pd di Renzi si mangia anche Tronti
Boschi: non ti ho mai considerato sconfitto
Il filosofo dell’operaismo presenta il suo libro con la ministra
di Mattia Feltri
La
volgarità della politica moderna, per usare il pensiero di Mario
Tronti, deve avere rivestito un ruolo se ci siamo spinti qui, ai Musei
capitolini. Infatti insieme con Mario Tronti c’era Maria Elena Boschi,
il ministro delle Riforme e, per gli immuni alla teologia politica,
Tronti è un filosofo dell’operaismo, un serio marxista novecentesco, uno
che anche ieri sera ha spiegato la forza della storia, hegelianamente
parlando. E però, visti i presupposti (il disastro della politica
moderna risiede innanzitutto «nell’omologazione», e cioè in «una libertà
di pensiero che non produce pensiero libero») volevamo verificare come
persino l’operaismo avesse cittadinanza nel Partito della nazione. Se il
filo del discorso vi pare ingarbugliato, sappiate che lo stiamo
sgarbugliando con grandissimo impegno, e quindi torniamo a capo.
Ai
Musei capitolini, ieri alle 17,30, Mario Tronti ha presentato il suo
ultimo libro («Dello spirito libero – Frammenti di vita e di pensiero»,
il Saggiatore) insieme col suddetto ministro, con Ernesto Galli della
Loggia e con Roberto Esposito, docente di filosofia teoretica alla
Normale di Pisa; moderatrice, Bianca Berlinguer. E si trattava di capire
in che modo l’ottantaseienne Tronti, dopo avere trascorso una vita a
riflettere sul conflitto fra operai e capitale, fosse giunto alla
conclusione che la politica moderna è produttrice di omologazione di
pensiero e intendesse farlo proprio con Boschi. Tronti, per concludere
la lunga e faticosa introduzione, è infatti senatore del Pd e membro di
una maggioranza nella quale, per dire l’ultima, si è schierato con i
cattolici dem nello stralcio della stepchild adoption e nel voto di
fiducia sulle Unioni civili. Un passaggio complicato che il professor
Esposito ha cercato di illuminare seppure con luce fioca: prima di
accettare lo scranno di Palazzo Madama, Tronti ha trascorso un lungo
periodo nei monasteri dell’Appennino, nel silenzio e nella meditazione.
Attenzione al percorso, dettagliato dallo stesso Tronti: lui, che è uomo
del «Che fare?» (non del «fare», quello è Berlusconi, del «Che fare?»,
cioè Lenin), considerando chiusa quella storia, e chiusa con la
sconfitta, è passato al «Che pensare?» nella speranza che il pensare, e
il «ripensare», porti a un nuovo «Che fare?». Vabbè, si porti pazienza.
Dunque: nel frattempo Tronti pensa e ripensa che «la critica della
democrazia politica è critica alla deriva delle democrazie contemporanee
che sono diventate grandi produttrici di antipolitica». Forse perché le
democrazie contemporanee sono vacue, omologano, e perché «c’era più
politica nella soluzione autoritaria». E però, malgrado il desolante
contorno, «c’è sempre qualcosa da fare in politica, e l’etica delle
convinzioni non deve superare l’etica della responsabilità».
Prima
del gran finale, una breve riflessione: peccato non ci fosse Pierluigi
Bersani ad ascoltare dove Tronti sia stato condotto dal «senso di
responsabilità» (fra l’altro accolto da generosi sorrisi di Boschi: «Tu
ti presenti come uno sconfitto, ma io non ti ho mai pensato tale»). Una
volta la battaglia bipolare era operai contro capitale, oggi è politica
contro storia. Cioè, la politica deve combattere la storia (sempre
Hegel) che non ha dato la vittoria agli operai ma al capitale. Quindi lo
«Spirito libero» è quello di chi, dice Tronti, «sta dentro e allo
stesso tempo sta fuori», dentro per combattere il capitale e fuori per
non essere omologati. Che poi, ma questo non è pensiero di Tronti, il
rischio grosso è di omologarsi senza combattere il capitale. Ci si
accontenta (e qui torna Tronti) di avere una spiritualità, cristiana o
laica, ma di averla. Se poi vi pare, chiamatela Matteologia.