giovedì 3 marzo 2016

Corriere 3.3.16
La medicina egizia a cui dobbiamo tutto

Forse qualcuno ricorderà Sinuhe, il «medico reale» della XVIII dinastia (XIV sec. a.C.), protagonista del romanzo di Mika Waltari e del film di Michael Curtiz; ma nessuno inquadrerebbe quelle sequenze come antefatto della medicina greca (ippocratica) e quindi, per estensione, del «pensiero medico moderno». Proprio a quell’antefatto, invece, è dedicata la magistrale ricostruzione di Paola Cosmacini ( Il medico d’oggi è nato in Egitto , Piccin, pp. 148, e 20, prefazione di G. Corbellini), con la «svolta» egizia che emerge innanzitutto a livello filosofico-concettuale, come mostrano il progressivo scremarsi della visione naturalistica da quella magico-teurgica (del medico dallo sciamano) e il riflettersi degli stati di salute/malattia in quelli di equilibrio/disordine dell’organismo. Non a caso, insieme a un ventaglio di acquisizioni fisiologiche (il sistema cardio-circolatorio e in particolare l’auscultazione del polso) e terapeutiche (l’uso del placebo e di principi attivi scoperti per caso), quella sapienza «arcaica» lascia in eredità una profonda lezione culturale, se il termine usato per designare il medico, sunu (da sun , soffrire), significa «colui che appartiene a chi soffre».