Corriere 3.3.16
Vita segreta di Tucidide Il mito di uno strano esilio
Ricorda
la Vienna del Terzo uomo , il film di Orson Welles, l’Atene di cui
scrive Luciano Canfora nel suo ultimo libro Tucidide. La menzogna, la
colpa, l’esilio (Laterza). Una città nervosa, opaca, attraversata da
tensioni e conflitti, in cui bisogna muoversi con attenzione. Non certo
la «scuola dell’Ellade», esaltata da Pericle. Una città tutta politica,
piuttosto, in cui anche quello di storico è un mestiere pericoloso: così
si ricava dalle vicende di Tucidide (e Senofonte), che Canfora
ricostruisce con il consueto piglio investigativo, ritornando con nuovi
argomenti sull’ipotesi sviluppata diversi anni fa.
Membro delle
famiglie aristocratiche, Tucidide non aveva disdegnato l’impegno
politico diretto: eletto stratego, aveva partecipato a diverse campagne
militari durante il conflitto con Sparta, in particolare nella Grecia
settentrionale, dove aveva interessi economici. Ed è lì che succede il
misfatto, nel 424 a.C., quando il generale spartano Brasida riuscì a
conquistare — «liberare», diceva lui — la strategica Amfipoli. Un grave
perdita per Atene, che punì Tucidide con l’esilio. Ormai condannato
all’inattività, il generale si sarebbe così dedicato (dove?) a scrivere
del conflitto che aveva sconvolto la Grecia.
Intanto ad Atene
muoveva i primi passi Senofonte, un altro oppositore della democrazia.
Compromesso col famigerato governo dei Trenta Tiranni del 404, fu
costretto a un esilio ventennale, come mercenario in Persia prima e poi
come possidente terriero nel Peloponneso, dove a sua volta si mise a
scrivere delle vicende greche. È una ricostruzione ben radicata tra gli
studiosi. Ma non tutto torna.
Per Tucidide la storia è quella
viva, del tempo presente: e lo storico è chi ha visto o ha potuto
comunque parlare con i diretti interessati. Il racconto del colpo di
Stato antidemocratico del 411 è esemplare. Tucidide sa: conosce i nomi
dei promotori occulti che si muovevano nell’ombra, di cui invece il
popolo era all’oscuro; rievoca le strategie segrete che puntavano a
seminare il terrore nella città; addirittura sembra partecipare al
processo intentato contro Antifonte (il personaggio forse più
affascinante di questa vicenda — fu retore, filosofo, organizzatore del
putsch, e tanto ci sarebbe ancora da dire). Dettagli eloquenti, che
abbondano anche nel caso della catastrofica spedizione siciliana. Ma
come avrebbe potuto raccoglierli Tucidide, se era in esilio? I Greci non
andavano tanto per il sottile: un esiliato perdeva qualunque diritto;
chiunque, incontrandolo in terra attica, avrebbe potuto ucciderlo.
Difficile immaginarsi un Tucidide con barba e baffi finti che si aggira
furtivo per le strade di Atene.
Quanto a Senofonte resta da
chiarire perché la prima parte del suo libro, che inizia bruscamente
proprio dove Tucidide ha interrotto (interrotto, si badi, non
terminato), sia così simile al testo del suo predecessore… I dubbi
aumentano, e con questi si fa strada l’esigenza di ricostruzioni più
plausibili. E se Tucidide in esilio non ci fosse mai andato? E se
Senofonte, che in esilio andò di sicuro e pure in modo precipitoso,
avesse messo le mani su parte del materiale tucidideo? Ipotesi radicali,
che avrebbero almeno il merito di rendere la storia più coerente.
Oltreché più avvincente, quando si prova a ricostruire in che modo
Senofonte è entrato in possesso di questi testi. Forse glieli diedero
Tucidide stesso o la sua famiglia: provenivano pur sempre dallo stesso
ambiente sociale. Ma non si può escludere che Senofonte se ne fosse
appropriato dolosamente, come alcune fonti sembrano suggerire. Pare poi
che Tucidide sia morto di morte violenta. Ci sono relazioni tra questi
due fatti? Anni fa Canfora lo aveva suggerito; qui evoca la possibilità
senza insistere. Di certo, tra colpi di Stato, omicidi e traffici
illegali, l’Atene di Tucidide e Senofonte non ha nulla da invidiare alla
Vienna del Terzo uomo .
Del resto, è proprio ad Atene che meglio
si attaglia la battuta più celebre del film di Orson Welles. Nell’Italia
dei Borgia ci furono guerre, terrore e omicidi: e fiorirono
Michelangelo e Leonardo. In Svizzera ci furono cinquecento anni di amore
fraterno: e fu prodotto l’orologio a cucù (e pazienza se, come gli
svizzeri puntualizzarono prontamente, l’orologio a cucù non lo avevano
inventato loro). Lo stesso vale per Atene, la città dei tradimenti, dove
intanto operavano Sofocle, Socrate e Fidia. Che non si trattasse di una
coincidenza è proprio la conclusione a cui arrivò Tucidide.
Studiare
la storia serve per capire chi siamo: un desiderio che ci spinge ad
agire per superare i limiti imposti dalla natura; un’inquietudine,
un’incapacità di accontentarsi, che ha causato stragi efferate, ma anche
la costruzione del Partenone. Le cause della nostra grandezza sono le
cause della nostra miseria; bene e male sono inesorabilmente intricati.
Leggere i classici, biasimava Thomas Hobbes, ha insegnato solo
ribellioni e tumulti. Ma è traducendo la Guerra del Peloponneso che ha
poi fondato la filosofia politica moderna. È una lezione su cui conviene
meditare quella di Tucidide, lo storico sempre presente.